Il grido di dolore di Vincenzo Agostino su Rai 2: “L’assassino di mio figlio non si è voluto cercare”

Vedete questi occhi? Sono di Vincenzo Agostino, padre di Nino Agostino, poliziotto ucciso dalla mafia il 5 agosto 1989 insieme alla moglie incinta Ida Castelluccio. L’altro ieri su Rai 2 durante il programma “Nemo – nessuno escluso” Vincenzo ha raccontato la sua storia. Lo ha fatto come sempre. Guardando negli occhi i telespettatori. Entrando nelle case degli italiani con la sua incredibile forza. Le sue parole, il suo grido di dolore, si rivolgono ogni giorno, da 28 anni, a chi è ancora detentore di segreti inconfessabili. Vincenzo Agostino e la moglie Augusta da 28 anni cercano verità e giustizia. Nient’altro. Cercano quello che ogni genitori cerca per il proprio figlio ammazzato dalla violenza mafiosa.

Nino Agostino è il poliziotto che ha salvato la vita al giudice Giovanni Falcone, sventando l’attentato all’Addaura. Attentato da sempre avvolto da misteri, misteri che avvolgono quelle che sono state definite le “menti raffinatissime” che hanno pensato e voluto l’attentato. Lo stesso Falcone durante il funerale disse: “Io a quel ragazzo gli devo la vita”.

Vincenzo ha visto il killer sparare contro suo figlio e la moglie. Colpo dopo colpo. Da quel giorno non taglia la barba e i capelli. Dei tanti misteri intorno alla morte del figlio oggi si sa poco. L’unico indiziato, “faccia da mostro”, riconosciuto da Vincenzo l’anno scorso come l’uomo che qualche giorno prima dell’uccisione del figlio andò a cercarlo a casa, è morto di infarto. Con lui è andata via anche l’ultima speranza. Ma non per Vincenzo Agostino, che nonostante gli anni non demorde e continua la sua ricerca.

L’altro ieri a “Nemo” Vincenzo è arrivato nelle case degli italiani per lanciare l’ennesimo appello.

Ecco il suo intervento: “L’assassino di mio figlio non ha mai pagato per quello che ha fatto perché non l’hanno voluto cercare. Perché l’assassino è dentro lo Stato, dentro agli uomini deviati dello Stato. Mio figlio è stato ucciso 40 giorni dopo il fallito attentato all’Addaura. Io forse sono l’unico padre vivente che ha visto uccidere il figlio davanti ai propri occhi. Vedevo maledettamente come quei colpi entravano nel corpo di mio figlio. Io correvo verso di lui per abbracciarlo e non farlo cadere. Lui mi chiamava mentre trascinava la moglie per terra per proteggerla. Lei, giovane donna di 19 anni, dice a quei bastardi che hanno ucciso mio figlio “io so chi siete”. Hanno sparato un colpo al cuore anche a lei. È caduta per terra e a carponi cercava di andare verso il suo Nino. Per Nino non c’era nulla da fare, inutili i tentativi di salvare Ida. Ho aspettato Prima ore prima che arrivasse il medico legale. Addosso a mio figlio hanno trovato un biglietto dove era scritto “se mi succede qualcosa andate nel mio armadio”. Cosa c’era in quell’armadio? Cosa c’era scritto nel dossier di Nino? E chi c’era sugli scogli dell’Addaura? Fino ad oggi nessuno me l’ha detto e ancora non ho verità e giustizia. Falcone, alla camera ardente, dice testuali parole “Io debbo la vita a queste due bare”. Sono menti raffinatissime e colletti bianchi. Dopo il matrimonio mio figlio era partito per il viaggio di nozze e viene questo uomo che ho definito “faccia da mostro”. Ci sono voluti 26 anni per poterlo cercare. L’ho trovato e riconosciuto in un confronto “all’americana” all’aula bunker dell’Ucciardone il 26 febbraio 2016. Questo uomo è stato lasciato libero, non è stato interrogato. Dopo 19 mesi, il 21 agosto 2017, Giovanni Aiello viene stroncato da un infarto. Cosa posso pensare io: è stato un infarto vero o un infarto “dello Stato”? Quindi mio figlio è stato ucciso dallo Stato”.

Al conduttore che gli ha chiesto se riuscirà mai a tagliarsi la barba e i capelli ha risposto: “Io me lo auguro ma non più per me, ma per i giovani che sono il presente. Loro devono costruire il domani”.

Caro Vincenzo, noi te lo auguriamo.

CONDIVIDI
Commenti Facebook
Articolo precedenteAlcamo Bene Comune: “Chi subisce violenza spesso deve lottare non solo contro le botte e le offese, ma anche contro una società sorda e muta”
Articolo successivoMinacce a Borrometi, arrestato De Carolis
Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.