Trapani, qui la mafia non alza bandiera bianca

Dietro le elezioni amministrative, uno scenario dove emerge la forte presenza di Cosa nostra

A Trapani ci sono scene che puoi osservare senza tante difficoltà e che nella memoria rimandano alle campagne elettorali di una volta. Quelle della prima Repubblica, quando i galoppini dei candidati, quelli maggiormente potenti e ricchi, giravano casa per casa, nei rioni più poveri, e offrivano qualcosa in cambio del voto: soldi, il pagamento di bollette dell’energia elettrica, abbigliamento, la busta della spesa. Ancora oggi, quando nemmeno più sappiamo con esattezza a quale numero di Repubblica siamo arrivati, funziona alla stessa maniera, il voto comprato sfruttando lo stato di bisogno della povera gente. Ed è una cosa fatta quasi alla luce del sole, interesse offerto quasi che si stia compiendo una buona azione e perfettamente lecita è la richiesta del contraccambio, “ti pago sei mesi di affitto della casa popolare e nella scheda segni il mio nome”. Ma il voto si Compra anche su altri livelli, quelli più alti, dove non c’è gente che vive malamente, ma frequenta i salotti della città, siede su poltrone “dorate”, in quegli ambiti, le cosiddette “stanze del potere”, dove all’accaparramento del consenso partecipa Cosa nostra. In termini giudiziari questa aggregazione è definita “area grigia”. Dove si coglie anche un’altra presenza, quella della massoneria. Mafia e massoneria sono stati i motori di questa campagna elettorale. La sensazione è quella che stavolta Cosa nostra non è stata alla finestra ad attendere l’esito del voto. Rispetto a cinque anni addietro la novità è stata quella che Cosa nostra ha potuto rimettere in campo i propri uomini a presidio del territorio. Come ha raccontato il giornalista Guido Ruotolo in un interessante reportage sulla Trapani al voto, pubblicato sul sito di Tiscali, la mafia trapanese si è potuta riorganizzare grazie alle scarcerazioni. Sono nel tempo tornati liberi circa 200 uomini d’onore, hanno scontato le pene, pagato il tributo alla giustizia, qualcuno ha evitato l’ergastolo per assoluzioni da reati omicidiari, e sono tornati a fare quello che hanno sempre fatto, le vedette di Cosa nostra. Si sa bene da queste parti trapanesi che la mafia locale è quella che sa sparare bene quando è ora di sparare, ma sopratutto sa votare bene quando è ora di votare, come si deve fare di questi tempi con il rinnovo amministrativo in corso. Indubbiamente in questa campagna elettorale qualcosa la mafia ha cercato di smuoverla. Per difendere i propri interessi più veri coltivati nel trapanese e cioè quelli nascosti nei meandri delle pubbliche amministrazioni. Uno dei tesori di Cosa nostra si nasconde proprio all’interno dei Comuni, dove si definiscono gli appalti, si assegnano i lavori, si gestiscono le somme per i servizi sociali, si stringono alleanze e si definiscono le strategie. La Pubblica amministrazione è tornata a risultare indenne da indagini dopo un periodo di attacco da parte degli investigatori, si ricorda la sequenza di arresto per corruzione di una decina di dirigenti degli uffici tecnici, sindaci arrestati, funzionari presi con le mani nella marmellata degli appalti pilotati, un ingegnere preso mentre truccava una offerta per favorire una impresa e per nascondere le prove cercò di masticare e ingoiare il foglietto appena scritto davanti ai poliziotti che facevano irruzione nel suo ufficio. Proprio per appalti pilotati e affidamenti diretti di incarichi, all’interno di una sorta di giostra dove a girare erano sempre le stesse imprese raccomandate da Cosa nostra, è finito proprio adesso commissariato il Comune di Castelvetrano, che era riuscito ad evitare la mannaia del commissariamento antimafia, riuscendo a superare la stagione degli scioglimenti delle amministrazioni per inquinamento mafioso, dopo le stragi del 1992. E molto probabilmente altri Comuni rischiano altrettanto. La strategia messa in campo dagli investigatori trapanesi è precisa. Si è fatta, fanno capire, solo in parte terra bruciata attorno al latitante Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993, avergli sequestrato e confiscato patrimoni diretti e indiretti per oltre 3 milioni di euro, non è bastato per snidarlo. Terra bruciata adesso verrà fatta andando a colpire i politici e i dirigenti della pubblica amministrazioni infedeli nei confronti dello Stato, fedeli solo nei riguardi della mafia targata Messina Denaro. E’ lì, dentro le ovattate stanze del potere pubblico, che è facile trovare i nuovi uomini di Cosa nostra. Trapani non è mai stata terra di “coppole e lupare” ma terra dove la mafia è stata rappresentata da baroni, professionisti, medici, avvocati, imprenditori, banchieri e bancari, la borghesia trapanese, la mafia a Trapani è una mafia “borghese”. La mafia che con la politica rappresenta spesso una unica cosa. Il latitante Messina Denaro è quello che con la politica ha avuto sempre contatti, si dice anche per l’arma del ricatto porta con se ossia il famoso archivio nascosto nell’ultimo covo di Riina, a Palermo, e la cui cassaforte fu svuotata dal cognato di Riina,. Leoluca Bagarella in tempo prima che arrivassero i carabinieri per la perquisizione. Bagarella si dice che poi abbia consegnato a Messina Denaro ogni carta. Matteo Messina Denaro è noto che ha costruito una sua Cosa nostra, senza affiliazioni e riti di iniziazioni, ma uomini da lui scelti uno per uno, senza tanta pubblicità. Ed è la mafia questa che invece che al racket del pizzo si occupa di corruzione. Non è cosa nuova quella di sostenere che seguendo l’odore del denaro si arriva ai “pupari”. La strada battuta dagli inquirenti di questi tempi è proprio questa, individuare la corruzione e risalirne il filone, al capo del quale gli investigatori sono convinti di riuscire a trovare il puparo, quello incaricato direttamente da Messina Denaro, o forse lo stesso boss.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.