1° Maggio e la “nostra” resistenza

La mafia la troviamo ovunque ma resta sempre dove la si è incontrata la prima volta, nella terra dove c’è ancora il sangue dei caduti di Portella della Ginestra

La Sicilia non ha conosciuto i giorni eroici della “resistenza”, quella che col sangue dei partigiani ha consegnato l’Italia alla Repubblica e alla Democrazia. Ma ha conosciuto un’altra “resistenza” altrettanto importante, fatta col sangue e il sudore dei contadini che ancora prima del dopoguerra hanno cercato di conquistare la terra togliendola dalle mani di latifondisti e mafiosi. In questi giorni il Comune di Valderice ha presentato la ristampa del volume scritto dallo storico Salvatore Costanza e dedicato al sindaco di Erice Sebastiano Bonfiglio ucciso nel 1922 per ordine di quelli che allora venivano chiamati “galantuomini” ma che erano mafiosi, precisi precisi ai mafiosi di oggi che non sono uomini con coppola e lupara ma spesso sono professionisti, baroni, grandi proprietari terrieri…in una parola insospettabili “colletti bianchi”. Insomma magari qualcuno li chiama ancora galantuomini! Un libro da rileggere, perché non è solo storia, ma è una lente poderosa che ci permette di leggere l’attualità. A quasi 100 anni dal delitto di Sebastiano Bonfiglio la mafia non è sconfitta, ogni giorno raccontiamo di come tanti si battono per il riscatto dei diritti di un popolo che resta sottomesso ad angherie e sfruttamenti da parte di grandi famiglie che restano fedeli alleati di Cosa nostra. Raccontiamo come in certi salotti si acconsente alla presenza dei mafiosi, oggi ancora di più che siamo in campagna elettorale. La mafia trapanese è storicamente una mafia che sopravvive con le ricchezze guadagnate col sangue di tanti morti ammazzati, una mafia che ha saputo e continua a controllare affari, politica, inquina le istituzioni, porta i suoi uomini, e speriamo di non dover mai dire anche le donne, nei Consigli comunali, nei palazzi del potere parlamentare. Una mafia che qui trova sponda in certa massoneria. Una mafia che sa sparare bene quando è ora di sparare ma che sa votare bene quando è ora di votare bene. Proprio ieri si è ricordato l’omicidio di Pio La Torre e del suo autista Rosario Di Salvo. La Torre, politico illuminato, ucciso perché aveva visto bene quale doveva essere la strategia di attacco a Cosa nostra, quella del sequestro e della confisca dei beni. Su questa linea di frontiera la mafia ha fatto almeno altri due omicidi a Trapani, quello del magistrato Gian Giacomo Ciaccio Montalto e quello del giudice Alberto Giacomelli, il primo ucciso nel 1983, a pochi mesi da delitto di Pio La Torre, l’altro nel 1994. Ciaccio Montalto ancora prima che il disegno di legge di Pio La Torre divenisse legge, aveva di fatto puntato l’attenzione sulle casseforti dei mafiosi di Trapani e Alcamo, Giacomelli fu ucciso quando divenne definitiva la confisca di un bene di proprietà della famiglia di Totò Riina. Negli anni a venire non ci sono stati più delitti, ma da qualche anno è stato possibile avvertire la pressione mafiosa su magistrati e giudici che a Trapani si occupano di sequestri e confische, giornalmente c’è chi cerca di mettere in dubbio l’azione dei Tribunali, il lavoro investigativo, c’è la solita canea che si alza ad ogni sequestro e confisca, a Trapani più che a Palermo ci sono state azioni che hanno colpito un paio di amministratori giudiziari infedeli e incapaci. Ma ci sono poi pronunce che finiscono sotto silenzio, ultima in ordine di tempo quella che ha colpito l’ex deputato regionale Pino Giammarinaro. La sentenza che gli ha confiscato 15 milioni di beni, e che ha rimandato il politico sotto sorveglianza speciale, la seconda nel giro di pochissimi anni, in fretta un pezzo di società e quasi tutta la politica, l’hanno mandata in archivio. La sentenza Giammarinaro invece sarebbe importante leggerla per intero e pubblicamente, racconta il sistema illegale, fatto di mafia, politici e imprenditori, che hanno controllato un bel pezzo di sanità in mezza Sicilia, c’è raccontato di come la massoneria ancora una volta ha fatto da amalgama, racconta “o sistema” che ci ha governato e forse non ha smesso di governarci. Tutto questo c’entra col Primo Maggio, perché dove c’è la mafia non c’è lavoro, ma sottomissione e ricatto. E nella sanità c’è stata tanta sottomissione e ci sono stati tanti ricatti. Così come nel mondo agrario, anche lì sottomissioni e ricatti. Oggi faremo festa, ma non sarà mai vera festa fino a quando non avremo tutti il coraggio di intraprendere una strada di impegno serio contro mafie e mafiosi, contro politici che nemmeno dinanzi all’evidenza delle loro colpe non si fanno da parti, abbiamo, come diceva Borsellino, un’arma importante, la matita da usare dentro le urne elettorali.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.