Vite precarie

Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego,

a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro

ed alla protezione contro la disoccupazione.

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Articolo 23), 1948

Le incertezze economiche, figlie di un tempo in cui i “contratti atipici” sono diventati invece piuttosto tipici quanto a diffusione, sono spesso motore di tante altre criticità e insicurezze. All’aspetto più materiale e pratico se ne collega sicuramente uno più psichico, che ricade immediatamente sul sociale. La precarietà lavorativa si traduce, infatti, in una impossibilità a fare progetti a lungo termine per paura di non poterli concretizzare neanche nel tempo.

Ecco: la paura, lo sconforto, il disagio spesso accompagnano le condizioni di certe precarietà lavorative. Lo stress e l’irritazione di pochi o saltuari pagamenti, o di complesse situazione lavorative e di sicurezza, diventano spesso compagne di insonnia, difficoltà di concentrazione e nel tempo si possono tradurre in ansia e depressione in quelle persone già in qualche modo predisposte verso queste psicopatologie ma anche come condizioni passeggere di alcune fasi di vita.

Non meno frequente è il ritiro dalle relazioni sociali, soprattutto in quelle situazioni in cui la precarietà è fortemente collegata ad un introito economico troppo basso e saltuario e quindi incapace di garantire una buona sussistenza economica per dedicarsi anche a qualche svago. Parlare dei propri problemi economici anche agli affetti più cari non è semplice per molte persone, poichè ai soldi attribuiamo un valore che determina spesso anche il nostro successo, la nostra capacità di affermazione lavorativa. Fare presente la propria difficoltà è come fare presente di stare vivendo una condizione simile al proprio fallimento esistenziale.

Bisogna distinguere certamente tra una sensazione di precarietà che alcuni lamentano ma che rimane una soggettiva visione delle cose, dalle reali precarietà lavorative che non consentono davvero alcun margine di sicurezza poichè avvolte anche in legislazioni e diritti piuttosto scarsi. Ma allora cosa si può fare se alla precarietà lavorativa comincia ad accompagnarsi anche quella psicologica e cominciano ad intravedersi le prime problematiche più serie.

Ne avevamo parlato in un altro articolo sulla crisi, e non vuole essere ancora una volta una spinta a non guardare la realtà delle cose, quanto piuttosto un monito a cercare aiuto per trovare altre risorse personali, a mobilitarsi per cominciare a pensare soluzioni diverse da quella presente e fonte di frustrazione. Chiaramente per la portata epocale di questi cambiamenti contrattuali e quindi sociali non è solo il pensiero di un singolo a poter fare la differenza ma ciascuno pur nel proprio piccolo può attrezzarsi per fronteggiare la difficoltà senza rimanerne sopraffatto. Un modo è quello di rimanere aperto alla possibilità di trovare altre soluzioni lavorative più interessanti, non sperando che arrivino prima o poi ma andandole a cercare fattivamente, un altro può essere quello di valutare i costi e i benefici di ciascun tipo di lavoro (talvolta salturario o libero professionale implica maggiore rischio ma maggiore retribuzione) e scegliere in base alle proprie priorità se non è il caso di rinunciare a qualcosa (ad esempio un settore che piace di più ma non decolla) in nome di qualcosa di più redditizio anche se meno interessante.

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Simona De Simone
Simona De Simone, psicologa e psicoterapeuta. Divoratrice instancabile di libri e del buon cibo. Appassionata di scrittura e mamma di Alqamah sin dal principio.