“L’indifferenza che arricchisce la mafia”

100 articoli verso il 21 Marzo: il ricordo del prefetto Sodano e quelle proposte rimaste senza risposta

A Trapani il ricordo del prefetto Fulvio Sodano, “cacciato via da Trapani” dopo aver dato avvio ad una stagione che era rimasta dimenticata a proposito del riuso dei beni confiscati alla mafia, dopo avere “intercettato” l’azione di Cosa nostra e ” impedito” il fallimento di un’azienda tolta al controllo del capo mafia Vincenzo Virga, la Calcestruzzi Ericina, continua ad incrociarsi, e scontrarsi, con quel sistema occulto che tende a inculcare nell’opinione pubbliche la convinzione sull’incapacità dello Stato a gestire le imprese sequestrate e confiscate e che…era meglio quando a gestirle era la mafia e tutto l’apparato di intrecci con la politica corrotta e collusa e con la massoneria. L’incontro promosso, come avviene da tre anni, dai lavoratori della Calcestruzzi Ericina Libera e da Libera, quest’anno anche con gli edili della Cgil nazionale, nell’anniversario della prematura scomparsa del prefetto Sodano, 27 febbraio 2014, ha messo in evidenza un fatto preciso: la riaggregazione di quel sistema illegale di collusioni dinanzi al quale le istituzioni, Agenzia nazionale dei beni confiscati in testa risultano incapaci di opporre resistenza. Lo hanno raccontato gli operai di una serie di imprese sequestrate e confiscate destinate alla liquidazione o al fallimento come dir si voglia. La voce di Giacomo Messina, presidente della società cooperativa che ha in uso la Calcestruzzi Ericina Libera, è di quelle delle quali avremmo tutti tanto bisogno, parole pronunziate senza peli sulla lingua. “Sentiamo spesso parlare, nelle fasi successive alla confisca, al riuso che deve rispondere al maggior interesse pubblico. E però spesso questo interesse pubblico non lo si riesce a cogliere quando invece è a portata di mano”. L’interesse pubblico ha un solo nome, “lavoratori”: “Ci preoccupa molto il fatto che si stia tornando in dietro di 20 anni quando all’atto del posizionamento dei sigilli posti alla nostra azienda era 1996 ci veniva consigliato di iscriverci disoccupati come per dire lo Stato vuole questo. La nostra inesistente esperienza, in questo contesto, già allora ci faceva dire che non era giusto… Ecco perché riteniamo che due sono le entità che possono decretare la morte di un bene aziendale sequestrato o confiscato: la mafia con i suoi continui boicottaggi e lo Stato per una non adeguata e proficua gestione dello stesso”. L’incontro promosso dalla Calcestruzzi Ericina Libera e dedicato al prefetto Fulvio Sodano ha permesso di avere consapevolezza di una grave incompiuta. Il progetto che avrebbe dovuto mettere in rete le imprese sequestrate e confiscate nel campo dell’edilizia e della produzione del calcestruzzo. Un progetto, lo ha sottolineato l’ingegnere Angelo Toschi, che se avesse avuto il via libera soprattutto dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati, avrebbe potuto garantire nuova vita a queste imprese e addirittura non solo il mantenimento dei livelli occupazionali ma addirittura nuova occupazione. Per l’appunto, “il maggiore interesse pubblico”. E invece? Invece ci sono le imprese fallite, i mezzi di aziende confiscate che arrugginiscono o vengono depredati, automezzi che sarebbero utili a far rivivere aziende confiscate che finiscono destinate…”ai vigili del fuoco”: magari qualcuno un giorno spiegherà cosa se ne fanno i vigili del fuoco di una betoniera! Giacomo Messina ha posto precise domande: Perché un’azienda A confiscata non incassa il dovuto dall’azienda B anche essa confiscata per forniture effettuate che a sua volta non incassata dall’azienda C anch’essa posta sotto confisca e tutte tre falliscono? Perché gli onesti amministratori giudiziari si trovano ad operare da soli? Perché chi è preposto alla gestione dei beni sequestrati e confiscati riguardo ai beni aziendali predilige: IL NON FARE E IL NON VOLER FAR FARE? Perché questa legalità percepibile fulcro centrale della missione istituzionale dell’agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati e spesso enunciata dal suo direttore riguardo ai beni aziendali è inesistente? Dall’agenzia nazionale dei beni confiscati l’unica risposta arrivata indirettamente è stata questa: “è più facile gestire alberghi che imprese edili dato che i clienti nell’edilizia sono più avvicinabili dalla mafia piuttosto che clienti degli alberghi che invece sono su Internet?”. La voce dei lavoratori delle imprese destinate al fallimento e alla liquidazione è chiara, tutti dichiarano sfiducia verso lo Stato, il contraltare non lo dicono ma molti lo pensano, meglio quando c’era la mafia”. Siamo tornati in quegli anni in cui i lavoratori sfilavano contro i sequestri e le confische. Sfilavano contro lo Stato. “Quello stesso Stato – ha rimarcato Giacomo Messina – che rappresentato dalle forze dell’ordine, dai sindaci, dai prefetti, dall’associazionismo responsabile va nelle scuole a parlare di legalità, di rispetto delle regole, è in quel contesto viene applaudito….ma cito testuali parole Quando andate nelle scuole a parlare di legalità i ragazzi vi applaudiranno ma quando cercheranno lavoro, cercheranno noi e non voi…lo diceva il boss Aglieri. Ecco la grande preoccupazione del prefetto Sodano che questa profezia si avveri se già non si è avverata”. C’è una informazione che tutto questo non lo racconta, perché ha deciso così anche per connivenza, ci sono istituzioni che rimangono immobili. A scuotere queste realtà ci ha provato don Luigi Ciotti da sempre vicino alla terra trapanese: “Qui la mafia continua ad arricchirsi grazie alla superficialità di tanti e alla decisione di tanti altri di scegliere il quieto vivere…tanti poi sono specialisti delle perplessità, o peggio hanno scelto di essere cortigiani”. Quel progetto che avrebbe dovuto mettere in rete le aziende confiscate è l’emblema di come spesso ad alcuni manchi il giusto coraggio e chissà se dietro questo non si nasconda la realtà vera, essere cortigiani di qualcuno o di qualcosa: “Non c’è una sola ragione – ha urlato don Ciotti – perché questo progetto si sia fermato, ho ascoltato e visto l’azione di chi ha saputo creare solo resistenze, ho l’impressione che quella commistione tra mafia e massoneria che provocò l’allontanamento da Trapani di Fulvio Sodano si sia nuovamente consolidata”. Si sente più spesso parlare di una soluzione nelle menti di qualche papavero della burocrazia ministeriale e della stessa Agenzia, “vendere i beni confiscati”: “Questi beni – ha risposto don Ciotti – sono vita e la vita non può essere merce posta in vendita…la mafia oggi non uccide più ma oggi abbiamo dinanzi vivi che sono costretti a comportarsi da morti perché disperati dentro per il lavoro che vanno perdendo a causa di chi è privo di buone pratiche pubbliche”. A dare la giusta consapevolezza ai lavoratori che oggi mostrano paura e sfiducia verso lo Stato ci ha provato il pm Andrea Tarondo: “La mafia – ha detto rivolto a questi lavoratori trapanesi – ha operato attraverso le aziende dove lavoravate, pensavamo che sequestrandole avremmo finito il lavoro e invece ci rendiamo conto che il nostro lavoro non è finito”. Parole chiare, se ci sono responsabilità nella morte di queste aziende la magistratura non starà a guardare”. E anche la magistratura guarda alla “rete del calcestruzzo” che si è fermata: “Era un progetto per consegnare a voi speranza, per contrastare l’affarismo mafioso…un progetto che si è fermato ma – ha concluso il pm Tarondo – ripeto a Voi che il nostro lavoro non è finito”. Ultima nota: l’incontro dedicato al prefetto Sodano ha visto l’assenza delle istituzioni politiche locali, nessuno si è presentato, e l’informazione locale non ha dedicato una sola riga. A Trapani, lo sappiamo, c’è una informazione imbavagliata o per scelta o per convenienza, che spesso non serve il lettore ma è serva di qualcuno…quello stesso qualcuno, quella stessa cosa che ha tolto di mezzo da Trapani Fulvio Sodano, “un prefetto – ci ha ricordato ancora don Ciotti – che non si è voltato dall’altra parte e che per questo ha subito un’azione criminale promossa da poteri forti, mafia, politica corrotta e massoneria”.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.