Fnsi: “Basta querele temerarie”

giulietti lorusso 2Giulietti e Lorusso commentano l’assoluzione del giornalista Giacalone dal reato di diffamazione. L’avv. Miceli: “riconosciuto diritto di critica”

Rino Giacalone non diffamò Mariano Agate, il boss di Mazzara del Vallo condannato all’ergastolo anche per la Strage di Capaci. Lo ha stabilito il Tribunale di Trapani che ha assolto il giornalista dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa. “Chi ripagherà ora Giacalone per l’ennesima querela temeraria scagliata contro un cronista?”, si domanda la Fnsi, il sindacato dei giornalisti. Il processo era scaturito dalle denunce di Rosa Pace, vedova di Mariano Agate, e da parte dei figli Vita e Paolo, in seguito ad un articolo pubblicato su “Malitalia.it” in cui veniva ricostruito il profilo criminale del marito, morto per cause naturali nell’aprile 2013, a 73 anni. In una nota congiunta, il segretario generale Raffaele Lorusso e del presidente Fnsi Giuseppe Giulietti, esprimono solidarietà al collega assolto: “Il tribunale di Trapani ha assolto il giornalista Rino Giacalone dall’accusa di aver diffamato il boss della mafia Mariano Agate, da lui definito “un pezzo di m..” riprendendo l’invettiva di Peppino Impastato. La vedova di Mariano Agate aveva querelato Giacalone, ma ora il tribunale di Trapani lo ha assolto, confermando la correttezza del suo lavoro, della sua ricostruzione e facendo appello ai valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione. Chi ripagherà ora Giacalone per l’ennesima “querela temeraria” scagliata contro un cronista? Per queste ragioni – prosegue la nota – continuiamo a chiedere al Parlamento non solo di non introdurre nuove sanzioni, ma di procedere invece alla immediata abrogazione del carcere per il reato di diffamazione, così come chiesto dalle istituzioni europee, prevedendo specifiche norme per il contenimento delle cosiddette “liti temerarie” diventate uno strumento di intimidazione contro il diritto di cronaca”. La sentenza sancisce un importante precedente per la giurisprudenza italiana: “Piu’ alta e’ la caratura del mafioso piu’ forte puo’ essere il giudizio critico nei suoi confronti. E’ possibile usare anche espressioni molto crude come “pezzo di merda”. Nella sua requisitoria il pm Franco Belvisi aveva chiesto la condanna del cronista a 4 mesi di reclusione e 600 euro di multa sostenendo che anche nei confronti di un mafioso le espressioni critiche vanno mantenute al livello di una “reputazione minima”. Il difensore del giornalista, l’avvocato Carmelo Miceli (l’altro era l’avv. Domenico Grassa), ha invece sostenuto che nel bilanciamento degli interessi prevale il diritto del cronista di descrivere in forme anche pesanti la biografia di un soggetto criminale della portata di Agate. Il giudice ha tra l’altro richiamato nel dispositivo la tutela dell’art. 21 della Costituzione. “Questa sentenza – ha spiegato l’avvocato Miceli – riconosce la funzione sociale dell’informazione critica e sdogana l’espressione ‘montagna di merda’ riconoscendo l’evoluzione del linguaggio giornalistico che non puo’ essere ingabbiato nello schema di una giurisprudenza superata”.

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