Le parole attuali di un generale

pellegriniAngiolo Pellegrini presenta a Trapani il suo libro, ma il racconto sembra dei giorni nostri.

Lo chiamavano “Billy the Kid”, quando era capitano comandante della sezione antimafia dei Carabinieri a Palermo, in un periodo che la storia ci consegna come “caldo” nella lotta a Cosa nostra, ma “caldo” sopratutto perché ogni giorno non mancava un omicidio, per la guerra di mafia scatenata dai corleonesi, prima per ripulire l’organizzazione delle “spine” come Totò Riina definiva i suoi avversari, e poi per attaccare e uccidere i servitori dello Stato così da spingere su un altro doppio versante, infiacchire l’attività inquirente e investigativa, e favorire anche l’attività di infiltrazione.

pellegrini trapani“Billy the Kid” è l’odierno generale Angiolo Pellegrini, classe 1949. Ai lettori ha consegnato il suo racconto di quegli anni a Palermo, “Noi, gli uomini di Falcone” (Sperling & Kupfer). “Voglio – dice – che i giovani sappiano chi era Giovanni Falcone’’. Anni pesanti che il generale Pellegrini ha ricostruito sabato pomeriggio a Trapani per iniziativa dell’associazione Libera. Parole le sue dedicate a ciò che appartiene alla storia, dedicate, dice ancora “a quella guerra che ci impedirono di vincere’’. Omicidi, arresto di latitanti, la cattura in Brasile di Tommaso Buscetta, il rapporto che portò all’istruzione del maxi processo alla mafia, vittorie e sconfitte, tragici fatti, il tentativo di delegittimazione di Falcone, il fallito attentato all’Addaura, gli anonimi del corvo, le bocciature decise contro Falcone dal Csm, la fine del pool dell’ufficio istruzione e infine l’intervento di Falcone che portò a far ritornare in cella gli imputati del maxi processo.

“Un giorno – ha raccontato – mi incontrai con Ninni Cassarà, il super poliziotto della Mobile di Palermo e subito ci capimmo. Concordavamo sul fatto che indagando ogni giorno su un nuovo delitto di fatto non avremmo mai capito cos’era Cosa nostra”. Da quel momento in poi cominciò una indagine strategica, “avevamo chiesto anche un computer per raccogliere e sistemare le notizie, ma la richiesta non ci fu accolta e allora lavoravamo con le rubriche, io sulla parete del mio ufficio tenevo una mappa che poco a poco cominciai a disegnare con o i nomi, le foto, le collocazioni geografiche e territoriali”. Una azione investigativa “che immediatamente rassegnammo io e Cassarà a Falcone che l’approvò”. Cosa nostra non era solo morti ammazzati, “ma appalti e subappalti, operazioni immobiliari e speculative, mazzette, che oggi chiamiamo col loro vero nome, corruzioni, false fatture e imprenditori che nascevano dal nulla, professionisti, ossia colletti bianchi, e cavalieri del lavoro collusi con la mafia”. Con toni pacati, come del resto è lo stesso testo del libro, davanti ad una attenta platea nell’ex chiesa di San Rocco in centro storico a Trapani, il generale Pellegrini ha dato sintesi del suo lavoro letterario. Successi, “l’arresto dei potenti esattori di Salemi i cugini Nino e Ignazio Salvo, e i servitori dello Stato morti ammazzati, Cassarà per primo, poi Dalla Chiesa, D’Aleo, Chinnici, Montana. Non si vinse perché?

“Il vero nemico rimase senza volto: un oscuro, ambiguo potere politico che prima negò i mezzi, risorse e possibilità, e poi smantellò la squadra”. E poi per colpa di quella che il generale Pellegrini definisce “contestazione strisciante”. Contro i magistrati e gli investigatori si oppone il garantismo, si oppongono altri magistrati nella veste di “azzeccagarbugli”, sopratutto in Cassazione. Le parole, ogni parola, del generale Pellegrini non c’è sembrata una sola parola presa dalla storia, ma dall’attualità, la cronaca dei nostri giorni. I computer ieri come oggi non se ne comprano, ma accade peggio, che non arrivano i computer e nemmeno gli investigatori e accade anzi che quelli che ci sono vengono anche trasferiti altrove, due nomi per tutti, Giuseppe Linares e Giovanni Leuci, in successione capi della Mobile di Trapani costretti per acciuffare la promozione a lasciare questa terra e le indagini certosine condotte su tutti i fronti, sopratutto su quelli legati alle connessioni mafia, politica e impresa, quelle connessioni che continuano a proteggere la latitanza di Matteo Messina Denaro.

IMG_0923Ma di nomi ne potremmo fare tanti altri perchè in giro per l’Italia di storie analoghe se ne trovano a josa. E chi rimane? Tocca la stessa sorte di chi indagava in quegli anni ’80, lavorare contro la mafia ma occuparsi anche di rapine, ricettazioni. Pellegrini ha raccontato di come in quegli anni sui tavoli dei magistrati che indagavano contro Cosa nostra arrivavano anche i fascicoli per altri reati, certamente minori. Oggi le cose non sono cambiate, ci sono magistrati in procure di confine come quella di Trapani che debbono occuparsi di ricettazioni e furtarelli mentre coordinano indagini complesse, da dove si può arrivare alla mafia, quella moderna, fatta da colletti bianchi e corruzioni…e false fatture. In quegli anni “si lavorava di notte in Procura” ha ricordato il generale Pellegrini “perché spesso e sopratutto di giorno le mura avevano orecchie”. E oggi? Ci sono magistrati che lavorano di notte e ci sono mura che hanno orecchie. Ieri un magistrato come Ciaccio Montalto lavorava con affianco un magistrato corrotto, oggi può accadere che affianco a magistrati seri vi sia un coro di magistrati disponibili ad aprire la loro porta a chi gli altri loro colleghi mai l’apriranno, in giro per l’Italia incontriamo storie di magistrati, per esempio citati in indagini sulla massoneria, che raccolgono consensi invece che dissensi.

Ci sono conservati in Procura a Trapani pagine di intercettazioni dove sono trascritte le conversazioni di consulenti di certi magistrati con mafiosi che venivano tranquillizzati. Ieri c’era il giudice “ammazzasentenze” oggi diciamo noi ci sono i giudici ammazzasentenze che non siedono solo in Cassazione, ma sparsi dai Tribunali del riesame, negli uffici giudicanti di primo e secondo grado. Ci sono le eccezioni, ma appunto sono giudici indicati come eccezioni, o sostituti procuratori indicati anche loro come eccezioni, mosche bianche, altro che toghe rosse. E la delegittimazione di ieri? Si è allargata, questo è quello che avvertiamo. Pensate, hanno dato del professionista dell’antimafia a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone e non volete che oggi lo si dia a chiunque? Succede questo, ancora. I pentiti e collaboratori di giustizia ieri come oggi più raccontano e più vengono mal guardati da gran parte dello scenario sociale, visti come “untori”, ci vengono a dire che la verità che esce dai Tribunali è sempre parziale, non totale, e questo anche davanti all’evidenza dei fatti. I giornalisti poi mettono anche del loro spesso non informando a dovere, qui a Trapani lo sappiamo bene, non arrivano le veline dei magistrati ma semmai le veline degli avvocati difensori dei mafiosi. Lo Stato non ha vinto perché ieri come oggi il potere politico, quello colluso, riesce a restare indenne perché ovviamente fa di tutto perché certe indagini non vadano avanti, ieri gli ostinati venivano uccisi oggi vengono trasferiti o delegittimati e talvolta con il sostegno di loro colleghi, sia se si parla di magistrati sia se si parla di investigatori.

Oggi la moda è quella di gettare l’acqua sporca con tutto il bambino, l’indagine contro il giudice Saguto a Palermo ha messo sotto offusca luce l’antimafia, anche quella sociale, e tutto il sistema dei sequestri e delle confische, sui sequestri e sulle confische poi c’è chi pare aver scelto di combattere guerre intestine, accade anche che a collaboratori di giustizia si propongano confische che però vengono trascurate nei confronti di altri che indagati sono tornati tranquillamente sui posti di comando, nei rari casi in cui da quei posti di comando erano stati davvero rimossi. Come diceva Peppino Impastato noi la mafia la vogliamo anche se è una grande montagna di merda, anzi se c’è qualcuno che dà del pezzo di merda ad un mafioso , per questi c’è pronto un bel processo. La mafia non ha vinto, ma giorno dopo giorno a Cosa nostra si danno grandi aiuti a vincere la partita. Alla mafia, colpita, ma mai in coma, a poco a poco si sta restituendo vitalità. E parte della società è pronta a celebrare il potere oscuro e non certo quello fantasioso delle Guerre Stellari ma quello vero che ha il volto di Matteo Messina Denaro ma così stando le cose arrestato il boss qualcun’altro più insospettabile sarà pronto a sostituirsi, almeno fino a quando non si deciderà sul serio di combattere le mafie e i suoi criminosi derivati come la corruzione.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.