La maxi frode del porto di Castellammare del Golfo

Castellammare Del GolfoLa Procura di Trapani chiude le indagini e chiede il giudizio per quattro persone, Giardina, Tallo, Parisi e Agnello

Doveva essere l’occasione per rilanciare l’economia, divenne invece opportunità per i soliti “amici degli amici” di fare affari. Stiamo parlando del porto di Castellammare del Golfo, un maxi appalto da 40 milioni di euro, risale a più di dieci anni addietro l’aggiudicazione della gara di appalto da parte della Regione attraverso il Genio civile delle opere marittime, nel 2010 il sequestro, adesso arriva la richiesta di rinvio a giudizio. L’hanno chiesta i pubblici ministeri della Procura di Trapani Anna Trinchillo e Andrea Tarondo. Destinatari della richiesta di rinvio a giudizio sono Mario Giardina, direttore del cantiere del porto, Leonardo Tallo, direttore dei lavori nominato dall’assessorato regionale ai lavori Pubblici, Rosario Agnello, legale rappresentante della società consortile Nettuno (della quale faceva parte anche la coop Cea) e Domenico Parisi, rappresentante dell’associazione temporanea d’imprese composta dalle imprese Coveco, Comesi e Cogem, dichiarata aggiudicataria dell’appalto nel 2005. Una indagine condotta dalla Guardia di Finanza, gli elementi raccolti portano a scoprire lavori malfatti, utilizzo di cemento depotenziato, la frode più massiccia sarebbe stata commessa nella realizzazione dei massi artificiali destinati a riflettere il moto ondoso, insomma se fossero stati posti in mare non avrebbero potuto difendere il porto dalle onde e alla prima mareggiata sarebbero stati dolori. Nei capi di accusa si legge di cemento e materiale inerte non corrispondente ai parametri previsti dal capitolato di appalto e quindi frode nelle pubbliche forniture. Un filone dell’indagine troverebbe sfogo nell’indagine antimafia denominata «Cosa Nostra Resort», quella che fece scoprire il tentativo di un imprenditore, il valdericino Tommaso Coppola, che dal carcere tra l’altro tentò di rivendicare presso alcuni politici, parlamentari nazionali – come il senatore D’Alì, che ha sempre detto di essere estraneo ad ogni cosa – gli impegni presi per forniture che le sue aziende avrebbero dovuto fare presso quel cantiere. L’appalto per il porto di Castellammare del Golfo fu aggiudicato ad una associazione di imprese costituita dal «Consorzio Veneto Cooperativo» (Co.Ve. Co), di Marghera, il cui presidente, Antonella Colavizza, trevigiana, che agli atti giudiziari risultava già essere stata denunciata, per altri appalti truccati, per turbata libertà d’incanti ed associazione per delinquere; dalla Cogem di Alcamo e dalla «Co..Me. Si.» di Palermo, il cui amministratore unico è Rosalia Rita Olinda Taormina, figlia di un soggetto condannato dal Tribunale di Reggio Calabria per turbativa d’asta. Dell’appalto per il porto di Castellammare si trova qualche riferimento anche nell’indagine antimafia che nel 2007 portò alla cattura dei mafiosi Lo Piccolo, a Palermo, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio. Il pentito, Gaspare Pulizzi, ha spiegato che nel 2006 ci fu il tentativo dei boss palermitani attraverso l’alcamese Ignazio Melodia, capo del mandamento di Alcamo, l’uomo che sarebbe stato in contatto con i Lo Piccolo quanto con l’attuale latitante Matteo Messina Denaro. Pulizzi per due volte incontrò oggetto dei summit «i lavori al porto di Castellammare del Golfo» e del cemento «che veniva fornito dall’impresa D’Arrigo», la stessa che si individua nella società Mirto Inerti srl, riconducibile a Domenico D’Arrigo, Stefano Parra e Giuseppe Lo Baido, ammazzato nel 2007 a Partinico.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.