Il solito mal dire dell’antimafia

Siamo alle solite in Sicilia, anzicchè parlare della mafia, delle malefatte di uomini e donne della politica e delle istituzioni si lanciano le consuete maledizioni all’antimafia

 

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Sono stati questi ultimi per me giorni di tribolazioni, non ho potuto scrivere (e magari la cosa può anche far piacere, ci mancherebbe altro) ma ho potuto leggere e anche tanto per aver perduto il sonno. Solite cose da leggere viene da dire…in una terra dove la mafia impera, tanti facendo finta di parlare contro la mafia attaccano il movimento antimafia tirando fuori la solita roba di sciasciana memoria sui professionisti dell’antimafia. Un fronte questo, quello dei tifosi di “questo” Sciascia, che scartano lo Sciascia che scriveva, “per difendere la democrazia e la libertà in Italia ogni giorno c’è da combattere una guerra…in Sicilia”, fronte che si è accresciuto paradossalmente trovando un comune denominatore in due storie diverse, opposte, il caso Saguto, giudice indagato con il bollino di conferma del Csm, e il caso Bulgarella, l’imprenditore trapanese, pisano di adozione, coinvolto da una indagine della Dda di Firenze e rispetto al quale il Tribunale del Riesame (e non dunque un collegio giudicante) ha tolto l’ipotesi di accusa di avere favorito con i suoi affari la mafia e Matteo Messina Denaro. Due vicende opposte rispetto alle quali tanti hanno messo sotto accusa l’antimafia. Con ragionamenti peraltro contrastanti, il caso Bulgarella ha portato in tanti, anche giornalisti, a lamentarsi contro la solita fuga di notizie che finendo sui giornali produce, hanno detto, sentenze di colpevolezza. Il caso Saguto non è stato diverso negli esiti, anche in questo caso ci sono state ipotesi di accusa finite pari pari, come per Bulgarella, scritte sui giornali. E gli stessi che hanno commentato negativamente il caso Bulgarella sono magari gli stessi che hanno festeggiato per le notizie sulla Saguto. Delle due cose …una, chi pratica per netto convincimento la reprimenda contro la fuga di notizie, la deve applicare sempre. Come la penso io? Se vi interessa: a me piace vivere in un Paese dove qualsiasi attività pubblica comprese quelle giudiziaria e investigativa devono essere trasparenti. A me piace vivere in un Paese dove se domani finissi in gattabuia, tutti lo devono sapere. Perché in caso contrario vivremmo nel Cile di Pinochet. Non sta a me giornalista fermare la penna quando sono in possesso di una notizia, se questa è fondata e rilevante, e dunque da rendere come dato conoscitivo alla pubblica opinione, va scritta (lo spiegava un certo Walter Tobagi che probabilmente alcuni giornalisti delle mie parti non conoscono). Deve essere la magistratura, perché di questo si parla in questi giorni, a trovare gli anticorpi per evitare la fuga di notizie. Guai a pensare che il problema si risolva mettendo il bavaglio alla stampa. Questa si chiama censura ed è in contrasto con l’art. 21 della Costituzione. E poi di quali fughe di notizie si sta cianciando. La Saguto quanto Bulgarella sono stati destinatari di provvedimenti, rimozione dall’incarico la prima, perquisizione il secondo, che per la loro natura sono diventati presto atti pubblici. Saguto e Bulgarella sono stati sotto inchiesta e intercettati per lunghi periodi e di questo non si è mai scritto. In quel caso si che ci sarebbe stata la fuga di notizie. Ma ripeto, se come giornalista fossi venuto a conoscenza di questa attività, avrei fatto il mio dovere dandone notizia al lettore. Pagando nel caso le conseguenze. Ma questo non è avvenuto. Certamente un colpevole i vari commentatori e soprattutto i tanti neo scrittori e guru dei social network (nuova categoria dalla comparsa di Facebook e simili) lo hanno trovato, colpevole l’antimafia o meglio…i professionisti dell’antimafia. Professionista dell’antimafia nel caso Saguro per tanti è certamente il giudice indagato e il suo cerchio magico, avvocato Cappellano Seminara, anche lui indagato e perciò compreso in questa che possiamo anche chiamare corte dei miracoli. Ma professionisti dell’antimafia sono anche e sempre di più i giornalisti ma quelli che hanno scritto sul caso Bulgarella. L’esercizio per dare una mano alla mafia è stato così portato a termine. L’antimafia, meglio magari quella che scrive impersonata dai giornalisti, è il mostro da combattere. Io dico un’altra cosa e la traggo dal caso Saguto. Per fortuna viviamo in un Paese in cui c’è una consistente parte della magistratura che non guarda in faccia a nessuno, anche se si tratti di un loro collega. Chi insomma professa l’antimafia per garantirsi tutele, professionali, ma anche altro, è avvertito: chi sbaglia paga. Anzi come il caso della Saguto insegna, comincia da subito a pagare anche dinanzi ad una presunta colpevolezza. Certo nel caso della Saguto mi vien da dire che il conto lo Stato ha cominciato a pretenderlo con un qualche ritardo che forse, se si fosse trattato di qualcun altro, non togato, non ci sarebbe stato. E’ vero però , ma non vuol essere una giustificazione, indagare sul giudice Saguto ai magistrati di Caltanissetta non deve essere stata cosa facile, ma il giornalismo d’inchiesta, firmato dal bravo ma solito isolato Pino Maniaci, c’era arrivato per primo sulle (presunte) malefatte, facendo vedere nella sua tv, Telejato, le aziende sotto amministrazione giudiziaria che fallivano mentre crescevano le parcelle di alcuni amministratori, quelli del (presunto) club exclusive del giudice Saguto. I professionisti dell’antimafia in questo caso se davvero ci sono, sono stati smascherati…dibattimento permettendo. Nel caso Bulgarella il ruolo dei giudici è stato esercitato per intero, perché l’attacco alla magistratura? Dinanzi ad una procura, quella di Firenze, che indaga e perquisisce, c’è stato un Tribunale del Riesame, composto anch’esso da giudici, che ha deciso diversamente sulle conclusioni provvisorie dei pm. La parola di un pm è sempre sottoposta all’esame e al parere di altri suoi colleghi, di altri giudici. Anche in questo caso i giudici del riesame di Firenze hanno tenuto lo stesso atteggiamento dei magistrati di Caltanissetta rispetto alla Saguto (non ce ne vogliano i magistrati fiorentini ma ad un certo punto leggendo sproloqui loro sono apparsi altrettanto presunti criminali come la Saguto, ma sappiamo che non è così), non hanno guardato in faccia a nessuno. La storia giudiziaria è piena di pronunciamenti da parte di giudici del riesame avversi alle posizioni delle Procure, ma il clamore non è mai stato esagerato come oggi avviene per questa indagine. Ma la stessa storia giudiziaria contiene casi di soggetti che seppur “salvati” dal riesame sono finiti ugualmente condannati. L’indagine Bulgarella è ancora all’inizio, la Dda di Firenze un giorno dovrà emettere un provvedimento a conclusione di questa inchiesta, richiesta di rinvio a giudizio, o archiviazione. Oggi è difficile dire quale delle due ipotesi è più avanti rispetto all’altra. Ad oggi Bulgarella però non registra un punto pieno a suo favore, una parte dell’indagine continua, c’è anche un ricorso in Cassazione, e se davvero non c’entra Matteo Messina Denaro negli affari dell’imprenditore trapanese, e per il riesame non c’entra, l’indagine che per il riesame ha valore è quella dove ad un certo punto compare il “convitato di pietra” della massoneria che a Trapani è stata storicamente prepotentemente onnipresente e forse continua a contare qualcosa a leggere certe carte depositate nel processo di appello per concorso esterno in associazione mafiosa contro l’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì. E della massoneria è Bulgarella a parlarne, non sono stati i giornalisti di loro sponte.Tornando al tema. Siamo anche noi professionisti dell’antimafia perché abbiamo raccontato del contenuto dell’indagine? Credo che tutti quelli che hanno scritto su Bulgarella sono stati tutti professionisti dell’informazione, anche perché la vicenda è stata raccontata sotto diversi aspetti e gli innocentisti hanno fatto sentire parecchio la loro voce dinanzi a coloro i quali hanno seguito la strada del presunto reo (e non colpevole). In tutti e due i casi credo che ci si è comportati da giornalisti, punto e basta. Ma attaccare il giornalismo non è giusto e corretto. La storia del giornalismo in questa terra di Sicilia è una storia che nessuno può, e deve toccare. Perché una storia essenziale per quei 5 milioni di Siciliani che non sono mafiosi, perché il giornalismo in questa terra siciliana è stato la spina nel fianco ai 5 mila mafiosi siciliani. E’ la storia di giornalisti uccisi o minacciati, costretti ad andare via, è la storia di giornalisti che hanno raccontato le scorribande sanguinare dei mafiosi, che hanno individuato in Riina il nuovo capo, andando a cercarlo fin sotto il suo naso, intervistando, come fece Mario Francese, la moglie del boss dopo averla incrociata in Tribunale, giornalisti che hanno indicato Totò u curtu come il capo dei capi quando ancora gli inquirenti andavano appresso ad altri mafiosi, è la storia di Mauro Rostagno che su un foglio dove scrisse nel 1988 l’organigramma dei mafiosi, dopo aver scritto il nome di Totò Minore, capo mafia di Trapani, lo sbarrò, lui, forse, in quel 1988 aveva saputo che Minore era stato ammazzato sei anni prima, certezza che divenne giudiziaria solo nel 1992. Essere in grado di svelare un accadimento di questo genere chiaramente può mettere a rischio la vita, tanto che Rostagno fu ammazzato. La storia del giornalismo è stata fatta da tante persone, giornalisti che raccontavano hanno avuto prima ancora dei mafiosi altri giornalisti come avversari, leggetevi la relazione appena prodotta dalla commissione nazionale antimafia e per esempio quanto accaduto al giornalista e scrittore Ciccio La Licata quando lavorava al Giornale di Sicilia. La storia del giornalismo siciliano ha i nomi di Gianfranco D’Anna, Salvatore Cusimano, Saverio Lodato, Attilio Bolzoni che oggi quando scrivono dimostrano che le cose antiche della mafia restano attuali, non ci sono più coppole e lupare ma mafiosi che si presentano in giro con la grisaglia dei banchieri e delle imprese. E’ una storia quella del nostro giornalismo che nella storia della Sicilia rappresenta un importante tassello. E’ il giornalismo che ha sollecitato più di ogni altro la gente a reagire, che ha portato alla nascita anche nella ultraconservatrice Trapani, di associazioni, Libera, Agende Rosse e altre. E allora capisco perché qualcuno vuol cambiare questo giornalismo. Pochi in buona fede molti con la cattiva fede. Venghino signori venghino…ho letto e sentito qualche giorno addietro. Mi sta bene. Venghino signori venghino… a guardare cosa è antimafia in Sicilia e a Trapani. E’ il volto dei tanti che ogni anno a partire dalla primavera accolgono giovani e adulti che vengono da ogni parte d’Italia per lavorare sui terreni confiscati. E’ il volto di tante professoresse, insegnanti che dentro le scuole operano ogni giorno per inculcare i valori della Costituzione, della libertà, della libertà di parola a tanti giovani ed è il volto di molti di questi studenti che decidono di dire la loro. E’ il volto dei familiari delle vittime che magari non hanno potuto nemmeno dare l’ultimo saluto ai loro cari. E’ il volto degli operai della Calcestruzzi Ericina o dei camerieri di un albergo di San Vito che hanno deciso di respirare nuova aria, costruendo cooperative per non far fermare l’attività che Cosa nostra voleva fermare. E’ il volto dei volontari che a Campobello di Mazara da alcuni anni accolgono quegli operai, extracomunitari, che vengono qui a raccogliere le olive e che fino a un paio di anni addietro abitavano in mezzo al fango perché nessuno a Campobello ancora oggi vuole oggi affittare le case. E’ il volto dei tanti che lo scorso 31 ottobre hanno sventolato le bandiere contro le inutili (così definite dal generale Tricarico) esercitazioni della Nato. E’ il volto di chi ha denunciato il pizzo o la richiesta di pagamento della quota associativa a Cosa nostra come solitamente avviene da queste parti, è il volto di chi ha deciso di rendere alla collettività il più alto gesto che si può fare che è quello di testimoniare, di collaborare con la magistratura pagando il prezzo di essere indicati come degli untori. E’ il volto di alcuni scortati costretti ad andare a fare la spesa da se stessi, che non permettono a chi li scorta di portare anche un solo sacchetto della spesa. E’ il volto di questi agenti che spesso la mattina non trovano le blindate per andare a lavorare. Mi sta bene che si (s)parli dell’antimafia ma avrà diritto di più a farlo chi intanto racconta delle cose belle che l’antimafia è riuscita e riesce a fare con in testa Libera, Libero Futuro, Addiopizzo. E’ questa l’antimafia che deve cambiare? Intendendo per cambiamento la necessità di mutare comportamenti ritenuti stantii? E’ vero, questa antimafia deve cambiare, niente è immutabile, nessuna cosa è immanente, ma non vedo nulla di stantio, l’antimafia può fare in meglio potrà ancora di più indebolire la mafia solo seguendo il percorso già tracciato, questa non è l’antimafia che deve cambiare strada. E’ meglio che la strada la cambino altri, quelli che come dice don Ciotti, hanno capito tutto e sanno tutto, e conoscono indagini ma le annunciano o le inventano, magari scrivendole non sui giornali, ma al solito su Facebook, o su faccia libro come dice la mia amica Maddalena Rostagno con la quale, ci rimarrà male qualche cialtrone,  ci divide poco o nulla meno che mai il reciproco rispetto coltivato in nome del senso della libertà di pensiero e di azione. E’ meglio allora che la strada la cambino i falsi scoopisti e i bugiardi. Mentre su questa strada ci incontreremo con chi è sinceramente interessato a far bene. C’è chi facendo questa antimafia è finito ingiustamente sotto accusa di pseudo comunicatori , c’è chi praticando questo impegno contro la mafia ha messo il suo portafoglio a disposizione per aumentare le personali uscite mensili e giammai le entrate. Per cortesia allora: fuori allora i nomi di questo circo Barnum, di questi professionisti, fuori per cortesia i nomi e cognomi di chi con l’antimafia è diventato ricco o di chi è diventato potente o di chi è intoccabile. Così anche per saperne parlare e magari confrontarci, se la cosa è permessa. Però mi sia consentita una cosa: non si dica più che certi imprenditori parlano come Damiano Damiani, come Danilo Dolci o Leonardo Sciascia. Attendiamo di conoscere da questi imprenditori quali denunce contro i mafiosi hanno presentato, giuriamo, ne daremo conto, e ci dicano dove erano mentre a Trapani, perché è di Trapani che stiamo parlando, e nel caso specifico dell’imprenditore Bulgarella, si costruiva e si realizzava il movimento antimafia, quello che difese il prefetto Sodano, indicato dall’imprenditore Bulgarella come un essere inutile, meglio invece a suo dire il sen. D’Alì, grand’uomo; dove era questo imprenditore mentre si difendevano i magistrati di Trapani dalle intimidazioni. Ho letto, sgomento, più per lui che per me, di una intercettazione dove Bulgarella avrebbe commentato negativamente una manifestazione a sostegno dei magistrati, chiosando poi sul fatto che Messina Denaro è un quaquaraquà. Ora non capisco cosa c’entrano le due cose messe assieme, penso semmai ad una eccessiva sintesi giornalistica e che Bulgarella abbia distinto le due cose. Spero tanto che sia così, cioè vorrei davvero che Matteo Messina Denaro sia lo spaventapasseri di se stesso, anche se molto ricco e parecchio assassino non lo vedo come uno spaventapasseri. Ma poi ragazzi tranquilli: il Bulgarella a ruota libera è l’essere più divertente che ci sia.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.