Processo a Rino Giacalone e il paradosso di poter parlare male della mafia ma non di un mafioso

20150203_111356E’ slittata di qualche ora la prima udienza per il processo a carico del giornalista trapanese Rino Giacalone accusato di aver offeso la reputazione del boss mazarese Mariano Agate. Alle 11 di ieri mattina il Giudice Monocratico del Tribunale di Trapani, Gianluigi Visco, ha aperto l’udienza.

Sui banchi del Tribunale c’erano tutti: l’avvocato della famiglia Agate in rappresentanza della moglie del boss, Cardinale Celestino, il giornalista Rino Giacalone e il suo legale Carmelo Miceli, il consigliere dell’ordine dei giornalisti siciliani, Salvatore Li Castri, il coordinatore di Libera Sicilia, Umberto Di Maggio, i volontari di scorta civica e gli amministratori della Calcestruzzi Ericina Libera.

Per il pubblico ministero c’era un magistrato onorario (VPO) che ha riportato le ragioni dell’accusa senza entrare nel merito della questione, poichè non ne conosceva il contenuto , in quanto riteneva che in quella sede veniva solamente incardinato il processo. A centrare subito la questione della controversia ci pensa direttamente il giudice, interrogandosi se prendendo per buona l’affermazione “la mafia è una montagna di merda” si possa attribuire la stessa espressione anche per gli affiliati di cosa nostra. Tema su cui ruoterà tutto il processo.

L’avvocato dell’Agate, infatti, durante l’udienza, ha portato avanti le sue ragioni, invocando il diritto al riconoscimento di una pur minima reputazione all’Agate così volgarmente e in modo disprezzante descritto. Quasi a voler sottolineare che la morte di un uomo può cancellare tutto quello che ha fatto in passato. Quello che l’avvocato, però, non rammenda è che proprio alla morte del boss gli furono negati sia funerali pubblici da parte del Questore che quelle religiose da parte del Vescovo di Mazara. Loro non hanno dimenticato chi fosse Mariano Agate.

Diversa la tesi dell’avvocato di Giacalone: è assente – commenta l’avvocato Miceli – ogni volontà di colpire e diffamare una singola persona, come essere umano e come individuo; l’espressione, la cui durezza nasce da un’indignazione morale che vuole interpretare e sollecitare quella collettiva, contiene piuttosto un giudizio storico e scaturisce da una riflessione sul fenomeno mafioso, una riflessione che si concretizza in un’immagine che, grazie a Peppino Impastato, non appartiene più al ricco campionario delle rabbiose e scomposte offese, ma fa ormai parte del patrimonio letterario dichiaratamente e coraggiosamente antimafioso e dell’immaginario collettivo della parte più consapevole della società siciliana e nazionale.
Non c’è dunque – sottolinea il legale – alcun intento offensivo nei confronti di una singola e specifica persona, ma una spassionata valutazione di quello che ha fatto, che ha rappresentato e che è stato in modo storicamente e giudiziariamente evidente: un “pezzo”, cioè una parte costitutiva e attiva, di una violenta e sanguinaria organizzazione criminale.

Tra l’altro la difesa dell’imputato ha chiesto e ottenuto di sentire il capo della mobile di Trapani, Giovanni Leuci, per conoscere meglio la reputazione del boss, e Salvo Vitale, per chiarire meglio il concetto “la mafia è una montagna di merda”.

Con tranquillità e serenità – commenta Rino Giacalone – mi affido al giudizio del Tribunale, resto perplesso ancora sulla iniziativa del magistrato titolare delle indagini che ha riconosciuto l’esistenza di una offesa alla reputazione di un uomo che è morto da pluriergastolano. Siamo dinanzi ad un paradosso. Ancora oggi abbiamo la prova che sul piano culturale la lotta alla mafia segna il passo. Altro che sconfitta, se oggi non si può dir male di uno dei suoi esponenti più importanti, Mariano Agate, pari e forse di più di quel tal Matteo Messina Denaro. Cioè siamo dinanzi a scenari e ragionamenti che vogliono dimostrare che si può dire che non solo la mafia esiste e che è una montagna di merda, come se questa fosse anche una eccezionale concessione a poterlo pensare, siamo però dinanzi a scenari che vogliono negare il diritto a dire che anche l’uomo mafioso è un pezzo di quella montagna di merda, vivo o morto che sia. Devo ringraziare poi l’ordine dei giornalisti, il suo presidente, il consigliere Licastri per essere stati presenti e per l’atto di solidarietà che mi è stato esternato , stessa cosa per l’associazione Libera, la Scorta Civica di Trapani e l’amministrazione della calcestruzzi Ericina Libera anche loro presenti all’udienza…devo riconoscere che hanno saputo affollare l’aula, iniziamo bene con questa bella testimonianza.

A conclusione della prima udienza il giudice ha fissato le due sedute per concludere il processo. Il 12 maggio, proprio tre giorni dopo la ricorrenza della morte di Peppino Impastato, verranno sentiti tutti i testi e l’imputato, mentre il 9 luglio ci sarà la discussione finale e la sentenza.

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Marcello Contento
Marcello Contento nasce a Palermo nel 1982, vive la sua vita tra la Sicilia e la Toscana. Giornalista, insegnante di economia aziendale e lettore incallito di Tex e Alan Ford.