“La pulce nell’orecchio”

pulce nell'orecchioSignificativo incontro di peer education per due gruppi di genitori al 2° Circolo “S. Giovanni Bosco” di Alcamo, lo scorso novembre.
Grazie alla sinergica collaborazione fra il Servizio Territoriale per le Tossicodipendenze e l’Alcolismo – SerT – (Dott.ssa Di Giovanni) e la Dirigenza del II° Circolo S. Giovanni Bosco (Dott. Biagio Ciacio), lo scorso 28 novembre, in prima assoluta presso le aule scolastiche dell’edificio di Via Pia Opera Pastore, si è conclusa una due giorni (21 e 28 novembre) dedicata all’informazione sull’ abuso di alcol in età pre-adolescenziale.
Giovanna Ruggeri e Caterina Mulè (peer educators), genitori di minori, in mezzo ad altrettanti genitori di minori, hanno governato con entusiasmo e dedizione un momento di incontro, divulgazione e confronto che i genitori aderenti all’iniziativa hanno trovato assolutamente apprezzabile. La peer education (alla lettera “educazione tra pari”, o “prevenzione tra pari”) è una strategia educativa particolarmente utilizzata nell’ambito della promozione della salute e più in generale nella prevenzione dei comportamenti a rischio. In essa, alcune persone opportunamente formate attraverso alcuni percorsi denominati “benessere” intraprendono attività educative con altre persone loro pari, cioè simili a loro quanto a età, condizione lavorativa, entroterra culturale, esperienze vissute ecc.
I primi progetti moderni di peer education risalgono agli anni Cinquanta del secolo scorso soprattutto negli Stati Uniti, poi diffusi maggiormente negli anni Settanta in tutto il mondo e nei contesti più svariati quali scuola, ospedali, carceri, comunità terapeutiche, ambienti lavorativi, palestre, centri di aggregazione giovanile etc.
Questa pratica va oltre la consueta prassi educativa poiché le persone diventano soggetti attivi del loro sviluppo e della loro formazione. Non più dunque semplici recettori di contenuti, valori ed esperienze trasferiti da un professionista esperto. Nell’opportunità di comunanza i convocati hanno infatti arricchito vicendevolmente le loro conoscenze attraverso il confronto tra punti di vista diversi, lo scambio di idee, l’analisi dei problemi e la ricerca delle possibili soluzioni, in una dinamica tra pari che tuttavia non esclude la possibilità di chiedere collaborazione e supporto agli esperti.
E’ un dato di fatto ormai acclarato (monitorato da servizi quali il SERT locale) che il consumo di alcool, specie nelle fasce più giovanili della nostra comunità, aumenta di anno in anno. La morfologia con cui dilaga questa piaga sociale denota un notevole abbassamento dell’età di inizio. Le cause, come spesso in altre situazioni similari, molteplici.
Le pubblicità degli alcolici sono fuorvianti, spingono i giovani ad associare una maggiore accettabilità sociale con l’effetto disinibente dell’alcol. Ed è proprio questo il nodo centrale della questione: in una società sempre più individualista in cui fare parte di un gruppo è diventato vitale, l’alcol viene utilizzato sempre più per raggiungere questo scopo, facendo passare in secondo piano le strategie di comunicazione classiche che impongono una personalità energica in grado di relazionarsi col prossimo. La parola d’ordine è rimuovere i freni inibitori, a qualsiasi costo.
La parte della popolazione più debole e influenzabile, i giovani, hanno a disposizione ogni tipo di bevanda a qualsiasi ora del giorno e della notte a prezzi accessibili, bevande con una gradazione alcolica relativamente bassa (ma non per questo innocue) che possono essere reperite ovunque e che fanno avvicinare sempre prima gli adolescenti allo sballo. Il fenomeno, in Italia, si estende dentro e fuori le aule didattiche, incrementando spesso l’evasione scolastica. Molti giovanissimi sono attirati dallo “sballo” a buon mercato.
Volendo parlare in concreto di prodotti che rientrano in questo target è stata citato ad esempio il “Breezer”, commercializzato dalla Bacardi. Un classico esempio di bibita ampiamente diffusa e di facile accesso ai giovani (presso tutti i supermercati), che col suo tasso alcolico pari al 4% è destinato in prevalenza a un target giovane, per il moderato contenuto alcolico ed i dolci sentori fruttati. Un ottimo trampolino di lancio per iniziare la via dell’assuefazione sconsiderata.
In zone rurali come le nostre, dove è di facile reperimento (ed i costi al dettaglio sono molto accessibili per il prodotto non confezionato) è in ulteriore accrescimento l’abuso di bevande come ad esempio il vino (o i vini liquorosi ancor più gradevoli al palato come il passito, il moscato ecc.).
pulce orecchioUn ulteriore fattore a rischio, per i minori (e non solo per loro) insieme ai proclami degli spot pubblicitari che dipingono come modaioli i comportamenti a rischio, sono i falsi luoghi comuni, assolutamente da sfatare. Se ne screditano alcuni, a titolo di esempio:
• L’alcol non aiuta la digestione
• Il vino non fa “buon sangue”
• Le bevande al coliche non sono dissetanti
• L’alcol non dà calore, ne forza, ne aiuta a riprendersi da uno shock, ne è una sostanza che protegge
• L’alcol no rende sicuri
• La birra non fa “latte”
• Consumare un abbondante pasto prima di bere “non fa restare sobri”
• L’assunzione di patate, o cipolle, o liquirizia, oppure cibi grassi, oppure aggiungere zucchero alle bevande non ritarda l’assorbimento dell’alcol
• NON si smaltisce più velocemente l’alcol ingerito:
– Mangiando mentine
– Facendo sciacqui con colluttorio
– Bevendo molta acqua
– Bevendo olio
– Bevendo molto caffè
– Mangiando uova crude
– Mettendo in bocca batterie
– Facendo una doccia fredda o una corsa

sussurrare all'orecchioLa sorveglianza sui comportamenti a rischio dei minori, lo sradicamento dei luoghi comuni, la promozione di stili di vita sani, la denigrazione e lo smascheramento di tutte le malsane abitudini che spesso sono “motivo di vanto” per alcuni sedicenti “esperti” sono fondamentali nella lotta all’alcolismo (e ad ogni tipo di dipendenza).
Chi non conosce la quantità di alcol che il suo fisico può sopportare difficilmente è in grado di porsi un limite. La conseguenza di molti comportamenti estremi è spesso quella di finire in ospedale privi di sensi o addirittura in coma etilico. Il fisico di un individuo giovane non è in grado di metabolizzare l’alcol come quello di una persona adulta: ciò comporta molti più danni alla salute rispetto ad un uomo o una donna più in là con gli anni, nei quali l’abuso risulta essere comunque nocivo.
Nella frenesia del “tutto e subito” si registra inoltre un aumento del numero dei giovani che beve anche fuori pasto: assumono alcol a stomaco vuoto per amplificarne l’effetto e sentirsi ubriachi molto più in fretta. Oltre al rischio di entrare in coma e i danni a carico di fegato, stomaco e cuore, non sono da sottovalutare i rischi indiretti della sbronza a tutti i costi: mettersi alla guida di motorini, minicar o automobili (ma anche di una semplice bicicletta o di uno skateboard) è pericoloso se al volante c’è qualcuno che ha bevuto così tanto. Sono in aumento le morti tra i giovani sotto i 25 anni dovute ad incidenti stradali avvenuti sotto effetto di alcol; inoltre, atteggiamenti irresponsabili possono essere anch’essi la causa di incidenti mortali, come gettarsi da muretti o marciapiedi, camminare in mezzo alla strada e attraversare senza assicurarsi che non ci sia una macchina che stia passando.
Siamo in presenza di un grave allarme sociale che porta inevitabilmente ad un aumento di fenomeni al di fuori del vivere civile e molto vicini a forme di dipendenza con danni organici e sociali considerati permanenti.

bereVolendo esaminare le cause di tale dilagante malcostume potrebbe aggiungersi anche un difetto di vigilanza genitoriale. Una classe genitoriale “vecchio stampo” che imponeva severi ordini educativi immotivati ha lasciato posto ad una nuova classe di educatori votati al permessivismo spesso sregolato, scadente in un dissolutissimo becero, foriero di disordine e deviazioni.
E’ tempo di ritrovare equilibrio fra questi due modelli educativi estremi, con genitori che sappiano equamente dosare autorità ed autorevolezza, affinché si fortifichi la consistenza caratteriale del minore e la sua assertività.
Nel Medioevo e nel rinascimento l’espressione “pulce nell’orecchio” era usata a proposito di tormenti che turbavano il sonno e impedivano di dormire.
Un pazzo alla guida che minaccia di schiantarsi col suo bolide, a forte velocità, su persone e cose, è ben più dannoso di un insetto insinuato a ridosso del padiglione di Eustachio.
C’è di che stare svegli….
Occorre, senza essere necessariamente degli esperti entomologi, diffondere la sobria “pulce nell’orecchio”, soprattutto nelle teste c.d. “leggere” di tanti genitori distratti alla guida dei figli.
Una fastidiosa presenza, un insetto che ci ricordi quanto i comportamenti a rischio di “altri” possono essere letali persino per i “virtuosi”. Uno stimolo a combattere la “guerra” ben oltre le proprie mura domestiche.
A tal proposito, durante l’incontro di peer education scolastica, è stata letta la straziante testimonianza di una sfortunata ragazza virtuosa. Una giovane che aveva responsabilmente scelto, per se, di assumere un comportamento assennato prima di mettersi alla guida della sua auto collide con il veicolo di un giovane sconsiderato. Quest’ultimo aveva sciaguratamente deciso di bere e mettersi poi alla guida. Una toccante storia che ha creato forte carica emotiva. Fa rabbia pensare che…se solo il messaggio di essere responsabili alla guida fosse giunto ad entrambi gli automobilisti alla stessa maniera, forse, si sarebbe prevenuta una tragedia.
Uno dei propositi che hanno motivato l’iniziativa è stata la prevenzione di comportamenti a rischio (quali l’assunzione di sostanze che provocano dipendenza come droghe o alcool) che compromettono, nell’immediato o a lungo termine, il benessere fisico, psicologico e sociale.
cin cinLa forza del messaggio (pur dovendo fare i conti con la capacità di raziocinio del destinatario) deve essere perciò il punto di forza di una campagna d’informazione capillare, che non può e non deve essere demandata solo all’iniziativa ministeriale o delle istituzioni in genere. Bisogna adottare e rafforzare questi concetti, instillandoli direttamente da vicino, alla radice di un più generale percorso educativo funzionale. Per arginare comportamenti e messaggi errati che armano potenziali sciagure future occorre generare una rete di capillare contenimento del fenomeno. Una fitta maglia di informazioni (e magari un proliferare di peer educator) che massimizzi gli sforzi dei singoli genitori nella vigile allerta sul fenomeno.
Un plauso a queste iniziative, ai servizi territoriali ed alla lungimiranza della scuola.

Diego Motisi

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