Ancora tempo fino al 30 Novembre per sostenere il Castello di Calatubo

Calatubo (2)ALCAMO. Pochi giorni al verdetto finale sul censimento nazionale del Fai sui luoghi del cuore da salvare. Tra questi c’è anche il Castello di Calatabo che si trova ad un passo dalla vittoria. Se l’edificio alcamese si configurerà tra le prime tre posizioni verrà restaurato.

Ancora ci sarà tempo fino al 30 novembre per dare lo sprint finale al censimento secondo le seguenti modalità: 1) accesso al sito www.iluoghidelcuore.it; 2) utilizzo dell’App “I Luoghi del Cuore”; 3) compilazione della cartolina distribuita presso le filiali del Gruppo Intesa Sanpaolo, i Beni del FAI aperti al pubblico, le Delegazioni del FAI distribuite su tutto il territorio; 4) compilazione di moduli

Ecco una breve relazione storica del  Castello di Calatubo

Ad appena tre chilometri dalla città di Alcamo, sorge superbo e maestoso su un’alta rocca il castello di Calatubo, e come un vero nido d’aquila domina tutta la vallata che va da Castellammare del Golfo, Balestrate, Trappeto e Monte Bonifato, regalando all’ignaro visitatore uno dei paesaggi più suggestivi e mozzafiato della Sicilia Occidentale.  Il Castello è evidente nella sua mole quando da Trapani si va verso Palermo e lo si osserva dalla vicina autostrada, quando la vista delle antiche fabbriche è progressiva in avvicinamento, e spazia verso la zona di ingresso attuale, segnata da due avancorpi a torre, collegati tra di loro da una cinta muraria difensiva, dove si apre un grande portale ad arco seicentesco.Calatubo (1)

L’occhio osserva ammaliato le antiche fabbriche che si snodano per tutta la rupe lunga ben 152 metri assecondandone l’assetto, tanto da dare l’impressione di essere eruttate dalla stessa rocca. Il toponimo arabo Qal’at (Castello), costituisce la radice di partenza di molti paesi (Calatabiano, Caltabellotta, Calamet, etc) caratterizzati da un arroccamento in luoghi alti e di difficile accesso, sormontati da un castello.  Sebbene accurate indagine sull’evoluzione strutturale, condotte dalla dott.sa Di Liberto, abbiano messo in evidenza l’esistenza di costruzioni di epoca bizantina, non abbiamo riscontri documentali di questo periodo li ritroviamo, infatti …. nel Diploma della fondazione della Diocesi di Mazara (1093), da parte di Ruggero d’Altavilla, a cui assegna il territorio che si fa riferimento per la prima volta a “Calatub cum omnibus suis pertinentiis”, per poi passare nel corso del tempo a numerosi importanti  famiglie nobili siciliane e non (Ponc de Blancfort (1278), Federico d’Antioca (1335), Raimondo Peralta (1336), Manfredi Aurea (1361), Artale De Luna (1403), Duca di Bivona (1554), Baroni De Ballis (1583) fino ad arrivare ai Papè Principi di Valdina (1707) i quali eredi nel 2007  lo donarono al Comune di Alcamo,  (l’attuale proprietario).

Recenti studi  hanno messo in luce, che il territorio comprendeva oltre il castello, un grande paese con porto, tesi testimoniata dal geografo arabo Ibn Idrisi (1134-1154) nella sua cartografia della Sicilia Araba oggi noto come “Il libro di Ruggero”, dove ne descrive l’importanza e la ricchezza, trent’anni dopo anche il pio viaggiatore andaluso Ibn Giubàyr (famoso per le sue relazione dei territori visitati) visiterà Calatubo confermandone l’importanza del sito.

L’impianto nella sua essenzialità delle fabbriche prive di apparati decorativi, risulta chiaramente diviso in tre distinti ambiti recitati da muri.

Il primo appartenente all’inizio del XI secolo, come palesa la presenza di una piccola torre posta a difesa dell’ingresso originario.

 Il secondo corpo risale alla fine dell’XI secolo con la costruzione di una seconda torre quadrangolare dalla quale si poteva accedere al piano del castello.

E’ nel corso del XII secolo che si definisce il fronte ovest del castello, secondo forme e sagome che saranno riprese nei secoli successivi, con aggiunte e trasformazioni come ad esempio, nel XVII secolo, l’arcone di ingresso leggermente ribassato.

All’interno del primo circuito di mura si costituisce la “torre maestra” dai grandi spessori murari, che era contemporaneamente luogo abitativo, luogo di difesa e centro di avvistamento.

 Il terzo recinto murario nasce dalla suddivisione della seconda coorte in una più piccola, sul nuovo ingresso, ed una più grande ad ulteriore difesa forse da un’altra torre.

Fra il XIII e XIV secolo la struttura militare di Calatubo viene ingrandita e trasformata non solo per essere confacente alle nuove tecniche di attacco militare ed alle nuove armi ma per essere una vera e propria residenza fortificata atta ad ospitarvi il Signore di turno, per essere poi abbandonato nel XV secolo a causa dello spopolamento delle terre (infatti alla fine del cinquecento le fabbriche sono descritte già in rovina).

La rinascita di questo complesso avviene alla fine dello stesso secolo quando, quando la famiglia De Ballis nel 1583 acquista il feudo e Don Graziano diventa il primo barone di Calatubo. Si avviano i lavori di consolidamento delle fabbriche medievali con la costruzione di una nuova ala residenziale e della chiesa nel terzo cortile .

Nel XVIII secolo si ha la configurazione della facciata ovest della dimora, con la costruzione delle due torrette merlate e delle scale esterne che collegano i cortili inferiori alla residenza.

 Nel 1707 Donna Gaetana De Ballis ultima baronessa di Calatubo sposa Giuseppe Papè principe di Valdina, 3° Protonotaro del Regno di Sicilia, trasferendone la proprietà a questa importante famiglia.   Ed è al suo interno proprio tra le sue mura che il 10 ottobre 1724 nacque Ugo Papè figlio dei su menzionati illustri personaggi.

Nominato Vescovo di Mazzara del Vallo il 24 aprile del 1773, visitò tutti i luoghi della vasta diocesi lasciando profonde orme delle iniziative prese a favore degli edifici, degli istituti di educazione e di beneficenza. Gettò le fondamenta del Palazzo vescovile, edificò alcuni tratti della Cattedrale e la Cappella del Sacramento.

 Mons. Quinci scrive di lui: “Non si possono contare le varie ed altre sue interessanti opere fatte, si può dire in ogni luogo della diocesi”. 

Per il Seminario, questo del governo Papè, è chiamato “Il periodo d’oro”, per le fabbriche, amministrazione, disciplina e studi, pietà e scienza. 

Nel dicembre del 1790, il Vescovo Ugo Papè si recò a Palermo (quasi a presagio della sua morte) ove si ammalò e morì il 13 gennaio 1791. Il suo corpo, trasportato a Mazzara, venne tumulato, dopo le solenni esequie, nella Cappella del SS.mo Sacramento della Cattedrale nel sepolcro che, ancor vivente si era fatto costruire.

 Tra la seconda metà dell’800 e i primi del ‘900 il Castello di Calatubo divenne famosissimo in Italia ed Europa in quanto ospitò uno Stabilimento Enologico dove si produsse il vino “Castel Calattubo” dei Principi Papè di Valdina.  Ottenne le massime onorificenze e medaglie d’oro (maggior premio concesso ai vini Italiani) nelle più importanti Esposizioni d’Europa, conseguendo il brevetto di fornitore esclusivo delle Regie Cantine e la facoltà di fregiare con lo stemma Reale lo stabilimento. Infatti furono molte le cene di gala tra i più importanti Premier, dove si stabilirono le sorti dell’intera Europa, accompagnate dal Real vino.

Il sito per la sua posizione strategica per la fertilità dei terreni circostanti, era un tempo dotato di un area portuale e di un fiume, un tempo navigabile fino ai pressi del Castello, che vanta una storia antichissima preesistente al maniero stesso di cui sono testimoni la necropoli elima e quella araba-normanna scoperte nei suoi dintorni, nonché chiare tracce di frequentazione  che risalirebbero al lontanissimo Paleolitico inferiore.

Fu sede di un villaggio Neolitico e divenne un importante centro Sicano-Elimo nel periodo Arcaico-Ellenistico, successivamente avamposto Romano-Bizantino e infine Roccaforte e città Araba.

Per trascrivere l’intera storia del Castello, delle sue origini, dei suoi illustri personaggi, nonché del suo protagonismo fino ai giorni nostri non basterebbe un intera enciclopedia.

Nel tempo il Castello si è contornato anche da un alone di mistero che trapela dalle tante leggende che insieme alla sua atmosfera aurica hanno alimentato le fantasie e non dei viandanti.  

Storie di presenze, di apparizioni, di sotterranei segreti, di profezie antichissime e incantesimi da svelare, tra queste da ricordare la leggenda del re Biddicchio dove la tradizione popolare vuole che un figlio naturale di Re Martino I, fosse stato rinchiuso nelle segrete dell’omonima torre, molte sono le testimonianze dei suoi antichi abitanti che hanno sentito di notte il  pianto e la voce di un bimbo che  chiedeva aiuto.

Chiunque si rechi a visitare le rovine del Castello non può fare almeno di restare profondamente ammaliato, per la sua posizione strategica, il suo fascino, l’energia che si respira.

Le sue pietre antichissime emanano millenni di storia, proprio perché in esse si racchiude tutta la storia della Nostra amata Sicilia.

Stefano Catalano

Maria Rimi

 

 

 

CONDIVIDI
Commenti Facebook
Articolo precedenteL’associazione Qua la Zampa: “Tante adozioni anche all’estero, siamo soddisfatti”
Articolo successivoMobilitazione dei sindacati trapanesi contro il ventilato taglio dei fondi ai patronati