“Rostagno non è stato ucciso dalla mafia”

Mauro RostagnoLe arringhe dei difensori degli imputati Virga e Mazzara. Galluffo sr: “E’ sparito un memoriale scritto dal giornalista”

«Non è un delitto di mafia» hanno detto i difensori del boss Vincenzo Virga, avvocati Stefano Vezzadini e Giuseppe Ingrassia. «La mafia non c’entra con questo delitto» ha detto, e nemmeno solo una volta a rimarcare la convinzione esatta dell’affermazione, l’avvocato Vito Galluffo difensore dell’altro imputato Vito Mazzara. Virga e Mazzara sono accusati di avere ucciso il 26 settembre 1988 il giornalista Mauro Rostagno. I pm hanno chiesto l’ergastolo: la ricostruzione del movente ruota attorno all’attività giornalistica di Rostagno e in particolare dall’attenzione che dedicava ai più pericolosi boss mafiosi, come Mariano Agate, oggi deceduto all’epoca campo mafia di Mazara, e alla presenza a Trapani della loggia massonica segreta Iside 2 conclamata (giudiziariamente e non solo) associazione che faceva da camera di compensazione di interessi politici, mafiosi, massonici ed economici. Prima di arrivare all’odierno processo, che procede da tre anni, il delitto Rostagno era finito dentro altre indagini, tutte risultate infondate, in particolare quella denominata Codice Rosso (poi finita archiviata) che puntava il dito contro la Saman, la cosidetta pista interna: Rostagno ucciso per contrasti di varia natura che si sarebbero assommati e che avrebbero armato la mano di killer, nella parte dei sicari alcuni ospiti della comunità di recupero che Rostagno aveva fondato assieme a Cardella (anche lui deceduto) e alla compagna di Mauro, Chicca Roveri. Cardella e la Roveri finirono sotto inchiesta, Cardella riparò all’estero, Chicca Roveri finì accusata e arrestata per favoreggiamento. Stessa sorte, le manette, e poi il proscioglimento, per Monica Serra all’epoca 25enne e che si trovava al momento del delitto sull’auto guidata da Rostagno. Un delitto compiuto a pochi metri dal cancello di ingresso della Comunità Saman, nelle campagne di Lenzi.Una pista interna che nel corso delle arringhe è tornata ad essere posta come reale dalle difese degli imputati. Pista fondata per i difensori che sin sono provocariamente fatti questa domanda recependo il contenuto della requisitoria dei pm Paci e Del Bene.

Rostagno ucciso dalla mafia perché, come hanno detto i pentiti, era una “camurria”?. «Non è vero – hanno detto in coro i difensori – Se la mafia voleva fermare Rostagno – ha evidenziato in particolare l’altro difensore di Vito Mazzara, l’avv. Salvatore Galluffo – sarebbe bastato parlare con l’editore di Rtc (la tv dove Rostagno a Trapani lavorava ndr) Puccio Bulgarella. L’imputato Vincenzo Virga – ha aggiunto Galluffo jr – ha ammesso di conoscere l’imprenditore. Perchè avrebbe dovuto ucciderlo? ». Quindi «non fu mafia, non fu politica, fu qualcos’altro di paurosamente alto…». «Le accuse su Mazzara? Vengono date per scontate, non indicate, altro che firme sul delitto di Vito Mazzara…». Galluffo sr ha anche indicato i “fatti” dei quali Rostagno di occupava e che avrebbero armato la mano dei killer: traffici di armi, traffici di droga, vicende dove sarebbero stati coinvolti servizi segreti. E Saman? L’Avv. Vito Galluffo ha evidenziato il ruolo che avrebbe avuto il guru Francesco Cardella, tra la politica, notoriamente vicino al Psi, i servizi, i traffici illeciti, Sudamerica, Malta, Somalia. Affianco a Cardella ancora il difensore del killer Vito Mazzara (sconta ergastoli per delitti di mafia alla pari dell’altro imputato Vincenzo Virga, capo del mandamento mafioso di Trapani) è stata stagliata dalle arringhe la figura di Giuseppe Cammisa, detto Jupiter, oggi “apprezzato” imprenditore in un paese dell’est europeo, anche lui coinvolto nell’operazione Codice Rosso (pista interna) e poi prosciolto: «era uno che sapeva sparare…anche lui sarebbe vicino ai servizi segreti…». Un gran complotto, tanti intrighi, che si confondono tutti dentro al movente indicato dalle difese. Ma la difesa degli imputati ha scavato a fondo mettendo in evidenza quelli che a loro avviso sono elementi precisi. A cominciare dal ruolo di “complicità” che avrebbe avuto Monica Serra nei confronti dei killer. “E’ scesa da quell’auto senza essere sporca di sangue, lei che ha raccontato di essere rimasta in auto, nascosta per ripararsi dai colpi sotto al cruscotto ma dopo che si era cominciato a sparare, impossibile che sia rimasta indenne così come hanno raccontato i testi che l’hanno incontrata quando lei era appena giunta dentro la Comunità per dare l’allarme..Maddalena Rostagno ha detto che non era sporca di sangue- ha rimarcato l’avv. Vito Galluffo – . Monica Serra fu complice degli assassini…Donna fragile, debole e ricattabile…”La Serra per la sua debolezza era psicologicamente dipendente da quella figura inquietante del Genovese Giovan Battista…suo compagno coinvolto nel delitto. I suoi ricordi non sono di vittima ma di una testimone oculare che è fuori dall’auto, guarda tutto, era tra quelli che sapeva e che nulla poteva fare per evitare quello che è accaduto….sapeva che non poteva parlare perché sapeva di potere essere uccisa…”. L’avv. Vito Galluffo ha ricostruito l’agguato. “Le sorelle Fonte (testimoni oculari all’epoca giovanissime) hanno detto di avere visto l’auto di Rostagno preceduta da una Golf e seguita da una Fiat Punto. Gli occupanti della Golf hanno fermato la marcia di Rostagno che così è caduto in un agguato…La Serra non parlerà mai di questa Golf che li precedeva”. Per Vito Galluffo, Rostagno fermò l’auto perché si ritrovò qualcosa o qualcuno dinanzi, appena si fermò partì la gragnola di colpi. E si ruppe quel fucile i cui resti furono rinvenuti sul luogo del delitto. “Non fu un delitto di mafia, la mafia è una cosa seria sa attrezzarsi bene”. “La mafia sicuramente no!”. “La “pista interna” non sarebbe estranea per i difensori di Mazzara anche se si indica come movente lo scoop che Rostagno si sarebbe apprestato a fare a proposito del misterioso (e mai provato) utilizzo dell’aeroporto di Chinisia (periferia di Trapani) per un traffico di armi. “Non c’è nulla che leghi il delitto alla mafia solo pii desideri”. Una posizione molto delicata quella assunta dal più autorevole dei difensori – Vito Galluffo è tra i più anziani avvocati del foro di Trapani e presiede la camera penale – che però a scanso di equivoci ha rimarcato, “la mafia c’è e va combattuta…ma se si dice che tutto è mafia è una bugia”. La pista mafiosa rimasta non considerata in oltre 20 anni di indagini? “Non è vero che non si indagò sulla mafia…indagarono tutti ma non trovarono nulla…c’erano solo e soltanto piste che conducevano all’interno della comunità Saman…Si è fatto di tutto per far entrare nel delitto Vito Mazzara”. Rostagno ucciso per gli attacchi alla mafia? E le difese hanno tirato fuori una serie di giornali e di articoli firmati in quegli anni da altri giornalisti a proposito della presenza della mafia nel trapanese. E poi a sorpresa un altro elemento è stato tirato fuori da Vito Galluffo: “Rostagno possedeva un memoriale che dopo il suo delitto è sparito”. Non è rimasta nemmeno non considerata la pista Lotta Continua (si raccontò anche durante il processo che Rostagno indagato per il delitto Calabresi assieme ad altri fondatori di Lotta Continua, tra i quali Adriano Sofri, era pronto a deporre dinanzi al giudice per raccontare tutto quello che sapeva): “Rostagno protestava per la innocenza del suo amico Adriano Sofri, uomo di grande coraggio…Rostagno voleva fare nomi e probabilmente voleva scagionare il suo amico Sofri facendo altri nomi…magari quello di Pietrostefani (Giorgio anche lui sotto inchiesta e condannato per Calabresi ndr) che si ritrovò dentro gli affari di Saman?”.

La pista mafia non regge proprio” ancora Galluffo.: “Vito Mazzara avrebbe ucciso Rostagno a pochi metri da casa sua (Valderice) in un luogo dove era conosciuto da tutti….. E’ impossibile”. Rostagno si stava interessando dell’affare rifiuti e si scoprirà poi che Vincenzo Virga in quell’ambito aveva molti interessi: “Ma quali rifiuti speciali….l’interesse di Virga era per la munnizza, per i sacchetti neri che noi cittadini scriteriati buttavamo ogni giorno gettandoli dalle finestre…..”. Insomma un teorema senza prove e sotto la manna delle arringhe sono cadute le teste, una ad una, di chi si è occupato delle indagini e della matrice mafiosa del delitto, “salvati” invece coloro i quali che durante la requisitoria avevano subito plateali e pesanti critiche dai pm: i carabinieri Montanti, Dell’Anna e Cannas in particolare. E la perizia del Dna che per i pm incastra Mazzara? Per quelle tracce genetiche trovate sui resti del fucile rinvenuto sulla scena del delitto? La perizia non solo ha indicato la presenza sul fucile del genoma di Mazzara ma anche quello di un suo parente e il pentito Milazzo quando fu sentito fece il nome di uno zio di Mazzara, Mario Mazzara, come di un sicario anche lui della cosca mafiosa trapanese. «Un teorema senza prove» l’ha definito l’avv. Salvatore Galluffo. Non ci sono prove e semmai le prove che avrebbero dimostrato l’inconsistenza della pista mafiosa sono sparite. Bossoli, cassette, borse, reperti che non si sono più ritrovati: “Tutto questo non può averlo fatto la mafia” ha urlato l’avv. Vito Galluffo che ha denunciato depistaggi ed omissioni: c’è stata una strategia finalizzata a impedire l’individuazione dei veri assassini. Opera di «menti sopra e fuori dallo Stato, sopra e fuori dalla mafia, sopra e fuori dalla politica, che comandano ancora oggi». Per il difensore di Vincenzo Virga, Giuseppe Ingrassia, il vero movente è quello del “denaro” scaturito dai contrasti tra Rostagno e l’ex guru di Saman Francesco Cardella. Infine i pentiti. «I pm che oggi vi chiedono di condannare all’ergastolo gli imputati – ha detto Ingrassia – sono gli stessi per i quali in passato non vi erano elementi per processare Vincenzo Virga e Vito Mazzara». «Archiviazione che veniva chiesta usando le odierne dichiarazioni pentiti poste a base delle richieste di condanna. Il quadro accusatorio nei confronti di Virga – ha detto Stefano Vezzadini – si riduce a poche, disordinate, contraddittorie dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia che erano state ritenute inattendibili dalla Procura». Le arringhe continuano il 5 e 7 maggio, parlerà ancora l’avv. Vito Galluffo. Il presidente della Corte di Assise ha stabilito una successiva udienza per il 13 maggio per le repliche, dopo di che nella stessa udienza la Corte si ritirerà in camera di consiglio dalla quale uscirà con la sentenza.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.