Quando l’ipocondria prende il sopravvento

 

Dott. Fabio Settipani, Psicologo – Psicoterapeuta

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“Questo maledetto raffreddore non vuole andarsene… avrò un tumore ai polmoni?” – “Oggi sento le mie gambe stanche, un po’ tremolanti… potrei avere un principio di una malattia degenerativa del sistema nervoso. Corro subito dal medico!” – “Sono così sicura di non avere beccato qualche virus letale attraverso il contatto con tutte le persone che frequento? Sarà prudente fare al più presto gli esami del sangue e fare una ricerca su internet sulle trasmissioni virali”. – “Perché questo dolore alla spalla questa mattina non mi lascia in pace? Devo trovare subito un cardiologo, potrebbe essere un infarto! Avviso immediatamente mia moglie!”

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Queste ed altre infinite affermazioni del genere pervadono l’esistenza delle tante persone che soffrono di ipocondria e queste, a loro volta, mettono in un continuo stato di stress le persone che stanno loro vicino. Questa psicopatologia riguarda la preoccupazione eccessiva ed infondata verso la propria salute, tale da indurre l’individuo a cercare continuamente un rimedio a tutte le “ipotetiche” patologie che ritiene di percepire dentro se stesso o di esserne potenzialmente a rischio.

L’ipocondria può presentarsi in forma “pura” o primaria, ovvero senza altre sintomatologie psicologiche, oppure in forma secondaria, cioè in seguito a stati depressivi o ansiosi.

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La prima domanda da porsi sul perché si raggiunga questo stato psicopatologico è quella di chiedersi cosa succede al pensiero dell’individuo che focalizza eccessivamente l’attenzione al suo corpo, senza riuscire mai a sentirlo sotto il suo naturale controllo. Certamente, questi continui dubbi sulla propria salute sono il segno di una grande insicurezza personale. Tuttavia, è curioso come il corpo tenda a sfuggire al controllo dell’individuo, come se mente e corpo fossero separati. Infatti, a ben vedere, nella storia di chi soffre di ipocondria tale separazione è stata esercitata. In che modo? Il nostro corpo è il mezzo che ci consente di comunicare tra il nostro mondo interno (fatto di bisogni, desideri, attitudini, emozioni, sentimenti e tanto altro) ed il mondo esterno, dove l’io incontra l’altro, il mondo sociale, le convenzioni e le regole, il giudizio o la libertà. Nel mondo esterno, e quindi nel rapporto con gli altri, l’io può incontrare la possibilità di esprimere il proprio bagaglio interiore e di alimentarlo, creando una sinergia tra interno ed esterno; al contrario, l’io può non trovare le risorse in sé per creare questo sviluppo armonico con l’esterno e con l’altro e (semplificando) può “decidere”, quasi sempre inconsapevolmente, di “tirare i remi in barca”, cominciando a blindare dentro se stesso tutto ciò che riguarda gli aspetti più intimi di sé e mantenendo così un rapporto sempre più formale con gli altri.

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In tutto questo, il corpo tende a rappresentare il “fantoccio dell’io”, non il vero io. È come se, guidando un’auto per raggiungere una meta, ci fermassimo continuamente per controllare che le gomme non siano bucate, che l’olio si mantenga sempre al suo livello, che i fari funzionino, ecc., non riuscendo mai ad affrontare la strada e raggiungere la nostra meta. Ecco perché nell’ipocondriaco viene a crearsi questa distonia tra l’io psicologico e l’io corporeo. Allora bisogna chiedersi: la vera paura sta nel nostro mezzo? Nel nostro corpo? Oppure abbiamo paura della strada ovvero di taluni elementi della nostra vita?

Come si può intuire da quanto esposto, l’enigma esistenziale di chi soffre di ipocondria (e in generale per tutti), va configurato e risolto all’interno del triangolo mente-corpo-relazione, detto in altre parole, mondo interno-corpo mezzo-mondo esterno.

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Quando l’ipocondria prende il sopravvento, è come se l’Io non considerasse più molto di abitare dentro un mondo fatto di desideri, piaceri, vicissitudini e relazioni, con tutta la loro complessità, e di scommetterci, decidendo invece di spostare tutti i suoi conflitti nell’esclusivo rapporto col proprio corpo. Spesso l’ipocondriaco tende a convincersi che nella sua vita di relazione vada tutto bene (e che il suo problema siano soltanto le malattie!), non accorgendosi che buona parte della sua vita sia diventata una mera recita sociale. Solo quando l’io riuscirà a rivisitare il rapporto tra il suo vero mondo intimo ed il suo vero mondo relazionale provando, a creare tra essi una buona sinergia, potrà fare la pace col suo corpo, ridando a quest’ultimo pieno diritto di cittadinanza in un mondo che non fa più paura e che può essere vissuto finalmente come fonte di piacere.

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