Processo a un “ex” potente di una città ancora crocevia del malaffare

Trapani e i suoi misteri tra mafia, massoneria, politica e impresa. Si chiude il dibattimento all’ex assessore regionale Dc Francesco Canino, ma più che storia sembra attualità

Le parole del pm Andrea Tarondo con la richiesta di condanna a 12 anni per l’ex politico rampante della Dc trapanese Francesco Canino, il “prendo tutto io” della prima Repubblica, hanno quasi concluso una vicenda processuale cominciata nel 1998 con l’arresto dell’on. Canino, allora deputato regionale in carica e che si è prolungata fino ai giorni nostri: prima con la modifica del capo di imputazione, da concorso in associazione mafiosa a 416 bis, poi c’è stata la prescrizione per il reato di voto di scambio, un processo che quasi subito dopo le dichiarazioni spontanee dell’imputato si è interrotto per circa tre anni a causa delle condizioni di salute dell’on. Canino, ritenute da più periti, attraverso anche controversi responsi , incompatibili per la partecipazione al dibattimento. Incompatibilità che è venuta meno di recente e così il processo è potuto riprendere, con l’on. Canino che però ha preferito restare grande assente. Causa, hanno precisato i suoi difensori, Marino e Bertarotta, solo e soltanto la salute, le difficoltà respiratorie rendono complicati i suoi movimenti e spostamenti. I difensori cominceranno a parlare dal tre marzo. Unica parte civile presente quella del Comune di Trapani. Decisione che a suo tempo fu presa dall’odierno ex sindaco Fazio, che però analogo comportamento non ha avuto nei confronti del processo ad un altro politico, l’ex sottosegretario all’Interno di Forza Italia, Tonino D’Alì (prescritto e assolto con pronuncia del 3° settembre scorso). Due processi che non sono stati del tutto disuniti. Un comune denominatore è stato il rapporto con il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga, contestato quanto a Canino quanto a D’Alì. E in un passaggio della requisitoria il pm Tarondo ha evidenziato che nel 1994 quando D’Alì si candidò per la prima volta al Senato con Forza Italia, il passa parola coinvolse l’associazione mafiosa e Canino si sarebbe impegnato in quella campagna elettorale a favore di D’Alì proprio per “l’ordine arrivato dalla mafia”. E’ questa, quella che ha per protagonista l’on . Canino, una vicenda processuale che si chiude ma nella requisitoria del pm Andrea Tarondo c’è tutta l’attualità dei nostri giorni. Una attualità che racconta una mafia “sommersa” ma quanto mai viva, di trattative vecchi e nuove tra pezzi dello Stato e le mafie, di latitanze sopportate, consentite, di voti garantiti dalle mafie e di voti comprati al supermarket di Cosa nostra, di mafia riservata e di mafia visibile. Il processo contro l’onorevole Francesco Canino non scrive pagine di storia, ma pagine di cronaca odierna.

Il processo e l’attualità. “Resta in piedi il rapporto nefasto tra l’associazione mafiosa Cosa nostra e la politica intesa nel senso più ampio. Resta strettissimo il rapporto tra la mafia e le istituzioni pubbliche”. Per il pm Andrea Tarondo le responsabilità della politica non sono da legare a “fatti elettorali”. Non c’è stato e non c’è solo il momento del voto nella storia trapanese sporcata dalle malefatte mafiose: “La mafia oggi non sarebbe stata così potente, dal riuscire ad imporre il pizzo, a controllare gli appalti, le imprese, la quotidianità economica, tutto questo non sarebbe stato possibile senza il rapporto intimo tra la mafia e le pubbliche istituzioni, l’intimidazione dal settore del racket è stata spostata nel settore istituzionale, è quella intimidazione davanti alla quale si piega (ha usato il presente il pm ndr) non solo il cittadino ma anche il funzionario, il poliziotto, il magistrato, senza questo punto di forza dell’associazione mafiosa Vincenzo Virga (capo mafia ndr) non sarebbe riuscito a darsi alla latitanza pochi giorni prima dell’esecuzione dell’ordine di cattura e non sarebbe riuscito a restare per sette anni latitante, senza questo punto di forza Matteo Messina Denaro sarebbe da anni nelle patrie galere, i boss mafiosi dal carcere non sarebbero riusciti a continuare a dare ordini anche di morte, con questo punto di forza funzionari incorruttibili, prefetti decisi a far rispettare la legge sono stati trasferiti ad altri incarichi, posti nelle condizioni di non nuocere, e nel contempo è accaduto che funzionari corrotti e compromessi, penso con quella massoneria, Iside 2, alla quale apparteneva anche l’on. Canino, condividendo la adesione con colletti bianchi e mafiosi, sono rimasti per decenni ad occupare posizioni di potere e a compiere brillanti carriere”. “La mafia di Vincenzo Virga, oramai agonizzante, senza questi punti di forza (dentro la politica e le istituzioni ndr) non avrebbe potuto risorgere con il boss Francesco Pace direttamente legato a Matteo Messina Denaro, non avrebbe potuto corrompere l’ex vice presidente delle Regione Bartolo Pellegrino per costruire un intero quartiere a Trapani, fatto per il quale Pace capo mafia erede di Virga sta scontando una condanna”. “A Trapani la mafia ha saputo controllare la spesa pubblica, gli appalti…questo processo riguarda il fondamento del potere mafioso di oggi, il suo sorgere, il suo affermarsi e manifestarsi, in un controllo soffocante e totalizzante delle istituzioni pubbliche”.

Canino: “Non ci sono solo io”. “Il malanno che ha colpito l’on. Francesco Canino è un fatto che mi è molto dispiaciuto” ha detto ad apertura di requisitoria il pm Tarondo che però ha avuto un altro dispiacere. “Aveva ragione l’on. Canino quando qui durante le sue dichiarazioni venne a dirci che lui non era l’unico politico ad avere qualcosa da farsi rimproverare. Caro pm, mi disse, si guardi in giro. Non ha però voluto fare i nomi, a riempire queste caselle è stata l’azione di indagine sviluppatasi in questi anni”. Magistratura e investigatori all’epoca avevano già cominciato a guardarsi in giro. Con l’on. Canino era imputato un altro ex deputato della Dc, Francesco Spina, deceduto prematuramente nel corso del dibattimento, in manette sono finiti altri pezzi da 90, i socialisti Bartolo Pellegrino e Pietro Pizzo e l’Udc David Costa, uno prescritto e un altro appena condannato in via definitiva per voto di scambio politico mafioso, l’ex Udc Norino Fratello ha preferito patteggiare, il sen. D’Alì ha affrontato un processo di primo grado e sicuramente dovrà fare i conti con quello di appello, un’altra serie di politici, sindaci, assessori, consiglieri comunali hanno risposto di reati, abusi, concussioni e corruzione, dove i rapporti con la mafia si sono pure intravisti. Quando nel 1998 scattò il blitz diretto dalla Squadra Mobile denominato Rino 3 e che vide l’arresto di Francesco Canino, la reazione più ampia fu quella della incredulità. Tutti sapevano che in città era lui a comandare, che sindaci e giunte si facevano solo se Canino fosse d’accordo, eppure tanti dissero che non poteva essere come andavano raccontando certi, non tutti, i giornalisti. Atteggiamenti di incredulità che si sono ripetuti anche in altre occasioni, per altri arresti, anche questo ha cementificato quel “punto di forza” al quale ha fatto riferimento il pm Tarondo. Incredulità che ancora oggi mantiene cittadinanza in questa provincia di Trapani e che impedisce la sconfitta vera della mafia, quella non determinata dalle sentenze ma pronunciata dalla società civile dove l’antimafia per tanti è diventata solo esercizio del proprio apparire. La capacità di fare i nomi e i cognomi non devono essere prerogativa di magistrati e investigatori ma deve diventare capacità di tanti. Nomi veri, non nomi di comodo.

“La sventurata rispose”. Politici come creatura della mafia. Il pm Andrea Tarondo ha saputo far cogliere però alcune differenze. “L’on. Canino non è stata una creatura della mafia, non è stato il politico che ha fatto quello che diceva la mafia, la sua storia politica(diventata oggetto di indagine giudiziaria ndr) è quella che si è nutrita con le “clientele”, poi ci fu la rimodulazione dei rapporti”. Cosa accadde? Accadde che alle lusinghe mafiose la politica si comportò come la Gertrude manzoniana, “la sventurata rispose”, e quindi dal malaffare si passò alla corruzione e quindi ai rapporti con la mafia da parte della politica, mafia che ha dato garanzie a perpetuare secondo propri tariffari e ordini di comportamento, il malaffare e la corruzione. “Canino non fu creatura della mafia ma partecipò a far mutare i rapporti di forza tra la mafia e la politica, rapporti che determinarono nel 2001 il salvacondotto per il Comune di Trapani che evitò lo scioglimento per inquinamento mafioso. Vicenda che oggi si legge meglio. Era scoppiato lo scandalo degli asili nido, Canino era finito in manette, un nuovo padronaggio politico si affacciava dopo essere stato nell’ombra, D’alì e Canino (che era già pluriindagato) decisero assieme il candidato a Palazzo D’Alì, l’avv. Fazio. Tutto preciso, tutto perfetto, tutto pulito. Sono gli anni in cui la mafia diventa impresa, non ha bisogno di prestanomi, imprenditori taglieggiati diventano loro stessi mafiosi, alcuni hanno collaborato altri sono rimasti in auge sino ad oggi, come Vito Tarantolo e Francesco Morici che hanno subito ingenti sequestri di beni. Imprenditori che hanno patteggiato condanne per favoreggiamento rimasti in carriera come Michele Mazzara. Ci sono stati consiglieri comunali accusati di essere uomini d’onore riservati come il socialista Franco Orlando. “L’on. Canino – ha detto il pm – era un uomo di minoranza dentro la Dc ma di fatto comandava dentro e fuori quel partito. Era nelle mani di Vincenzo Virga e lui era la classica figura dell’uomo d’onore riservato”.

Le dure parole di Vincenzo Virga. Il rapporto tra l’on. Canino e il capo mafia Vincenzo Virga non era però sereno. Canino pare che in alcune occasioni si lamentava di lui, “quelli di prima erano davvero uomini d’onore” e Virga di rimando “chiosava”, “io vorrei farlo camminare su di una strada liscia, lui preferisce il vallone” come dire lui, Canino, vuol fare per i fatti suoi, Canino che con le sue parole però non nascondeva di temere “la spregiudicatezza di Virga” che veniva riconosciuta anche da altri mafiosi. Vincenzo Virga ed i suoi figli erano soprannominati “coccodrilli” perché volevano tutto per loro e questo li rendeva avversari di altri mafiosi, il boss Sinacori quando si pentì raccontò ai poliziotti che se non l’avessero arrestato avrebbero presto trovato la testa di Virga a Torre di Ligny (luogo simbolo della città). Dalla parte di Canino c’erano mafiosi come Leonardo Coppola.

Contro Giammarinaro. Pino Giammarinaro è un alto dei politici finiti nei guai. Sorvegliato speciale, adesso è in corso un procedimento perché torni ad essere sorvegliato speciale, il suo patrimonio per oltre 30 milioni di euro è finito sotto sequestro. Giammarinaro fu eletto nel 1991 deputato al parlamento regionale, fu il primo degli eletti nella Dc trapanese con 50 mila voti. Canino in tv si scagliò contro di lui a poche ore dall’esito di quel voto. I pentiti raccontarono che Giammarinaro reagì a quelle parole affrontando i capi mafia dicendo loro di ascoltare bene quella persona che fino ad allora avevano fatto eleggere. “Questo Pino Giammarinaro lo disse al commercialista Messina e a Vincenzo Virga.

Il comitato di affari. Tra le accuse più pesanti rivolte a Canino quello di avere consentito l’operatività di un comitato di affari, “c’erano lui, Spina, Grimaudo ex direttore di Assindustria, Giuseppe Poma (da ultimo presidente del consiglio provinciale ndr) unico ad uscire dalle indagini con una richiesta di archiviazione accolta dal gip. Comitato di affari che è strettamente legato alla tangentopoli trapanese, “dove nessuno era escluso dalla Dc al Pci”. Il pm ha tanto parlato dei lavori per la costruzione della galleria di contrada Scindo Passo di Favignana. “Canino percepì 50 milioni di vecchie lire, tangenti furono prese dal senatore Pietro Pizzo e dall’allora presidente della Provincia Barbara”. “Ogni politico aveva il suo padrino e imprenditore di riferimento”. Per i lavori della galleria l’appalto fu deciso dalla mafia palermitana, prescelsero l’impresa Tarantolo/Gentile “per qualificare l’offerta partecipò anche l’impresa di Paolo Berlusconi”.

Le accuse dei pentiti. Ad accusare Francesco Canino diversi collaboratori di giustizia a cominciare dal commercialista Giuseppe Messina, ma anche il consulente del lavoro Giuseppe Marceca o ancora il commerciante Marciante. E poi pentiti mafiosi mafiosi come Antonio Patti e il boss di Caccamo Giuffrè. Marceca ha descritto la fase di nascita del movimento Sicilia Libera, “doveva candidarsi nel 1994 alla presidenza della Provincia e l’invito a candidarsi gli arrivò da Canino e da Vincenzo Virga”, a Marceca fu detto “ci sarà l’appoggio degli amici”.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.