Historia Alcami: Alcamo, città medievale a scacchiera.

Intervista all’Architetto Ignazio Longo, a cura di Pietro Pignatiello e Lidia Milazzo.

Abbiamo parlato in passato della nascita di Alcamo e della sua genesi legata ai casali arabi, ma come siamo passati dai casali alla città?

Spesso si fa confusione tra casale arabo (rahal) e città medievale. Il casale è un agglomerato urbano di qualche decina di case, quasi sempre distribuite attorno ad una fonte d’acqua. Invece l’Alcamo che vediamo oggi è una città progettata con una splendida struttura a scacchiera, al punto da essere citata come esempio nell’Atlante del Morini (n.d.r. l’Atlante di Mario Morini, edito nel 1963 è una delle opere fondamentali di storia dell’urbanistica, che riporta la città di Alcamo come esempio di struttura a scacchiera con bordo irregolare).

Dai miei studi, mi pare di ricordare che tutte le città greche e successivamente anche quelle romane, nacquero con una struttura a scacchiera. Cos’ha di così peculiare Alcamo?

Nel Medioevo è difficile trovare una struttura simile, a meno che queste non riprendano il loro antico impianto dell’accampamento militare romano, come possiamo vedere nelle più antiche e importanti città italiane ed europee. Pochissime sono, poi, le città che in questo periodo vengono fondate con una configurazione a pianta ortogonale. É probabile che la committenza fosse talmente potente da fare costruire la città con delle direttive ben stabilite.

Questa “committenza” è la stessa che diede avvio ai lavori del Castello?

Di certo, essa è di natura “comitale”. A tal proposito, abbiamo traccia di documenti di richiesta di manovalanza a Palermo, per l’esecuzione di alcuni lavori ad Alcamo. Esistono infatti degli atti, risalenti al 1340, scritti dal notaio Vincenzo Pellegrino, che riportano la richiesta di un capomastro, Bartuccio Sardo, il quale assoldava dei manovali per dei lavori da effettuare nella città di Alcamo. Conosciamo quindi molti nomi dai documenti, ma non la committenza. Inoltre, non possiamo nemmeno dire se questa manovalanza fosse stata reclutata per costruzioni inerenti il Castello, la Chiesa Madre, o la città.

Qual è l’impianto originario di Alcamo?

Come dicevamo sopra, la città viene pensata con un vero e proprio piano regolatore che prevedeva strade e isolati con misure ben precise. Gli isolati, infatti, hanno tutti una misura prestabilita di 25×50 metri, pari a 12×24 canne siciliane. Le strade interne misurano 3,60 metri e non 6 metri, come sostenuto fino a questo momento, come è possibile vedere nelle parallele a via Rossotti. Quest’ultima, invece, è l’unica ad avere misure diverse (6,60 metri) in quanto essa costituiva l’asse principale, Nord-Sud, all’epoca della fondazione della città. La struttura di Alcamo si organizzò a partire da questa direttrice, che incrociava l’attuale Corso, andando a costituire i “quattro canti di città”, punto cruciale della vita municipale e in cui era ubicata la Loggia Comunale. Il palazzo dei giurati, si caratterizzava da un porticato con due arcate sul Corso e una sulla via Barone di San Giuseppe (n.d.r. la raffigurazione di questo edificio si intravede nel dipinto del Collegio del XVIII sec.). Attorno a quest’area si vennero a creare i primi otto isolati.

[a questo punto Ignazio ci mostra una pianta della città. Guardando questa planimetria ci viene istintivo fare un paragone tra l’ordine di Alcamo, all’atto della sua genesi, e il caos edilizio creatosi alla fine dello scorso millennio.]

Sappiamo che tu sei sempre a conoscenza di moltissime curiosità su Alcamo, ci racconti qualcosa che riguarda la nascita dei quartieri alcamesi?

Partiamo dal Corso VI Aprile, che siamo abituati a considerare, con il suo bel basolato, la strada principale di Alcamo. In passato non era così. Dalle strutture visibili presenti, sia all’angolo tra via Rossotti e il Corso, sia nella parte bassa delle colonne poste accanto la porta d’entrata del Monastero di Santa Chiara, deduciamo che il livello della strada era più rialzato rispetto alla pavimentazione odierna, e che l’andamento del selciato presentava delle irregolarità. Per questo motivo la pietra, sotto un certo livello, si presenta in forma grezza, cosa che fa pensare alle fondamenta anticamente interrate. Inoltre questo monastero presenta un’altra peculiarità, notate qualcosa di strano?

Ci sembra che la parete del monastero sia divisa a metà, da una specie di angolo in pietra…

… molto bene. Se guardiamo la conformazione dell’edificio possiamo notare come la base di questa “divisione” richiami delle strutture che fanno da angolo esterno ad altri palazzi. Come potete ben vedere, la suddetta struttura si trova perfettamente allineata al limite della via posta di fronte. Inoltre, ho avuto notizia che le suore del monastero, all’interno del quale è presente un giardino, si riferivano ad esso chiamandolo “strada”. Unendo questi indizi possiamo dedurre che il monastero ha interamente inglobato il tratto di via che separava i due isolati.

Sembrerebbe una dimostrazione di potere che a quel tempo questo monastero poteva esercitare sulla città, a discapito dell’ordinata struttura cittadina.

Si, infatti, questo è l’unico punto a non rispondere al criterio della simmetria che si ripete in ogni strada, a destra e a sinistra della via Rossotti. Cosa inversa successe invece a San Francesco.

Che intendi dire?

La chiesa e il monastero di San Francesco, all’atto della fondazione occupavano uno spazio lontano dall’abitato. Ancora nel XVII secolo il Convento di San Francesco si trovava sul lato nord della chiesa omonima, ostacolando il prolungamento del Corso VI Aprile. Per superare tale impedimento, il 25 novembre del 1611, i giurati di Alcamo decisero di intraprendere una singolare transazione con i frati del convento. I giurati concessero ai francescani il diritto di potere esigere per un triennio, a cominciare dal 1613, la “gabellamcarnis grani unius […] ad effectumexpendenti pro fabrica novi conventusSancti Francisci…”, ovvero la tassa sulla macellazione delle vacche con la quale i frati avrebbero potuto pagare le spese per la costruzione del nuovo convento a Sud (n.d.r. sul lato opposto alla precedente ubicazione. Prima, infatti, esso si trovava a coprire l’ultimo tratto del Corso VI Aprile che sbocca in Piazza Bagolino). Lo scopo del comune era quello di allungare il percorso della strada fino all’estremità est della città, senza deviarne il suo corso rettilineo.

La nuova porta si aprì nel 1616 e, contemporaneamente, si demolirono le cappelle del SS. Crocifisso, di San Marco, e il chiostro del vecchio convento. I frati ebbero i soldi necessari per edificare la nuova struttura religiosa e i cittadini guadagnarono la possibilità di raggiungere la strada per Palermo in maniera più agevole. Se, infatti, mi aveste chiesto la direzione per Palermo, nel 1615, avrei risposto indicando la fine di via Rossotti, nella quale si apriva la “vecchia Porta Palermo”. Quella attualmente conosciuta come Porta Palermo, è quindi la “nuova”, ed è il frutto della demolizione delle vecchie cappelle che si trovavano sul naturale proseguimento del Corso VI Aprile.

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