Antonio Manuel Marco Cascio: La fossa degli angeli

Di Milena Vesco

Antonio Cascio, alcamese di 27 anni, è un tecnico di radiologia che, dopo aver lavorato un anno a Pisa, sta per trasferirsi a Treviso. Nella vita ha viaggiato tanto cercando lavoro e trovando se stesso, imparando che “chi semina raccoglie”. La sua forte passione per l’arte della scrittura e il bisogno di raccontare lo hanno portato alla stesura di La fossa degli angeli, il suo primo romanzo.

La fossa degli angeli: in che genere è collocabile e di cosa parla?
Il mio lettore della casa editrice lo ha definito un romanzo urban fantasy ma, secondo me e la direttrice, è più un romanzo storico con riferimenti fantastici e allo stesso tempo rappresenta la somma delle mie esperienze.
Il racconto è ambientato nel presente alcamese e il protagonista è Manuel, un ragazzo che frequenta le superiori. Una sera, all’imbrunire, mentre era in montagna per caso, trova su una croce nascosta una strana stella a sei punte. Manuel inizialmente pensava fosse un simbolo satanista, ma poi capirà che si tratta di una chiave. Su questa chiave troverà degli indizi in latino che lo porteranno ad una catena di altri sei indizi. Sette indizi per sette porte. Sette come le stelle che ha nelle mani il Cristo dell’apocalisse di San Giovanni e sette come le stelle dell’orsa maggiore, tanto cara ai viaggiatori del nord che dominarono la Sicilia nel medioevo.
Durante questo misterioso percorso ci saranno dei flashback che collegheranno la storia d’amore di Manuel e la sua rossa Selvaggia a quella di due amanti vissuti nel tardo medioevo alcamese, una storia molto contrastata e con tanti riferimenti storici. Attraverso questa trama a intreccio cerco di far rivalutare posti più o meno conosciuti di Alcamo, anche immaginifici. Facendo riferimento ai luoghi della città, ho cambiato pochissimi elementi e solo per rendere più funzionale lo svolgimento della storia. Come Da Vinci osservava la natura per costruire le sue macchine, io osservo ciò che mi sta intorno per raccontare. Non posso spiegare il titolo “La fossa degli angeli”, lo capirete solo leggendo!

Per quanto tempo hai lavorato a questo romanzo?
Cominciai a scriverlo all’età di ventun anni, subito dopo aver lasciato l’università di agraria. Dedicai tre mesi al libro, riempiendo a mano 140 pagine di quaderno. Ho interrotto la stesura quando ho ricominciato a studiare, mettendo il dovere come priorità. Un libro ti coinvolge, ti ruba l’anima. Se scrivi non puoi dedicarti ad altro, è totalizzante. Finito il triennio, ho passato due anni in giro per l’Italia a cercare lavoro. Poi sono stato in Irlanda. Questo viaggio mi ha regalato un incontro particolare che mi ha fatto tornare la voglia di scrivere. Dopo due settimane ultimai tutto, lo inviai alle case editrici e dopo un mese e mezzo sono cominciati ad arrivare riscontri positivi.

Puoi dirci qualcosa di più sull’incontro in Irlanda?
In realtà gli incontri sono stati due. Il primo l’ho vissuto perché nel Novembre scorso, finito il mio incarico a Treviso, invece di tornare direttamente in Sicilia, ho fatto un po’ di tappe fermandomi anche in Toscana dove ho beccato degli amici con cui sono poi andato a Perugia. Lì con Diego e Daniel, due ragazzi sudamericani che hanno fatto di un porcile abbandonato la loro “casa discografica”, abbiamo cominciato a incidere un disco, composto da canzoni di cui io scrivevo i testi. A metà lavoro Daniel mi disse “Tu! Devi scrivere! Tu devi raccontare storie, sei fatto per questo!” e mi regalò un libro: Come scrivere un romanzo.
Tornato in Sicilia, non trovai lavoro. Decisi così di partire per l’Irlanda. Ero diretto a Dublino ma per strani giri del destino finii a Galway, la città dei violini peraltro abbastanza vicina alle scogliere di Moher: Irlanda allo stato puro. Lì conobbi una ragazza che era esattamente identica alla protagonista femminile del mio romanzo, frutto della mia immaginazione. Corrispondeva perfettamente alla mia descrizione: alta 1,73, capelli rossi, occhi verdi, italo-irlandese. Per me è questa l’immagine della bellezza. Io e questa ragazza abbiamo avuto una storia molto intensa e passionale, una grande pulsione emozionale che io intesi come la voce del destino che mi suggeriva di finire il libro. Poi tornai in Italia perché questa storia, come tutte le cose che divampano, ha fatto in fretta a spegnersi. Così, ispirato da questa pulsione, conclusi subito il mio romanzo.

Cosa, invece, ti ha spinto a cominciare a scrivere?
Credo sia stata una mia esigenza intrinseca, un bisogno di comunicare. Ho cominciato in un momento in cui il mondo mi voltava le spalle. Avevo dei problemi di salute, avevo lasciato l’università, non sentivo più nessuno che riponesse fiducia in me e nel mio futuro. Avevo bisogno di riprendere in mano la mia vita, ed è stata questa città a suggerirmi come fare. Ho cercato di fare apparire Alcamo per il meglio di quello che è cercando un dialogo con la città per poter rivelare le sue qualità nascoste e allo stesso tempo mi sono visto anch’io per il meglio di ciò che sono trovando le mie qualità nascoste. Anche se nella mia famiglia non ho trovato approvazione, “perdere tempo su un pezzo di carta” invece che studiare o lavorare potrebbe non sembrare troppo costruttivo!

Coltivavi da molto tempo la passione per la storia di Alcamo?
No, per nulla! Mi piaceva semplicemente andare in montagna, girovagare per i boschi e fare strane incursioni notturne tra chiese, castelli e cimiteri.

Cosa ti piace e cosa non ti piace di questa città?
Di Alcamo mi piace che in fin dei conti c’è tutto. Ci affacciamo su un golfo strepitoso con un mare stupendo e abbiamo una montagna bellissima. Il problema è che non sappiamo salvaguardare tutto ciò! Abbiamo tante potenzialità inespresse. Di Alcamo mi piace l’intervallo silenzioso tra la notte e il giorno, non mi piace l’inquinamento acustico nelle ore di punta, la confusione, le interminabili file alle poste. Di Alcamo non sopporto proprio il continuo susseguirsi di “Chi sacciu?!”, “No”, “Ma lu munnu sempri accussì ha statu?!”. Non sopporto la consapevolezza che le cose stanno così ma non si vogliono cambiare. Si potrebbe far tanto ma non si vuole far nulla. Voglio mettere tante pulci nell’orecchio: Dai, forse sta città può dare ancora qualcosa!

Quanto i tuoi viaggi e le tue esperienze personali hanno influenzato la storia?
Io ho voluto che il libro sapesse di noi, della nostra cultura. Però sicuramente la vita ti forma. Viaggiare non significa “spostarsi”. È un incontro figlio della libertà. Quando viaggi non percorri una strada, percorri te stesso. Un viaggio è un atto d’amore tra te e la terra che incontri, tra te e ciò che hai dentro e, come ogni atto d’amore, influisce su te e su quello che fai. Di conseguenza è normale che il libro, sebbene centrato sulla sicilianità, abbia il sapore dei viaggi: ci saranno dei riferimenti a Barcellona e all’Irlanda.

Come hai scelto la casa editrice tra tutte quelle che ti hanno risposto?
Io ho inviato il romanzo a tutta Italia perché pensavo sarebbe stato difficile trovare qualcuno che scommettesse su di me in questo periodo in cui mancano i soldi anche per la ricerca e gli ospedali. Invece prima tra tutte mi ha risposto la Giovane Holden. Questo fu un altro segno del destino, perché la casa editrice in questione è di Viareggio e, siccome mi trovavo a Pisa per lavoro, è stata l’unica in cui avevo portato di persona il manoscritto. Inizialmente non mi volevano aprire, poi li ho convinti dicendo che ero andato lì dal momento che conoscevo la casa editrice perché un altro mio “particolarissimo” amico di Venezia ha pubblicato con loro. Allora hanno dato un’occhiata al mio libro e la prima cosa che li ha colpiti è stata la copertina, disegnata da un’altra amica irlandese! Appena mi hanno contattato per confermare la pubblicazione ho preso la palla al balzo. Quindi, come è giusto che sia, ho temporaneamente declinato l’invito delle altre case editrici… in futuro si vedrà! Questo è un buon modo di cominciare!

Quando sarà possibile acquistare il libro?
Credo dalla seconda metà di Novembre, sia in formato cartaceo che digitale. Lo presenterò in anteprima al Pisa book festival dal 15 al 17 Novembre. È un festival internazionale, ci saranno scrittori facoltosi da tutto il mondo, scrittori veri e seri, e poi lì in mezzo ci sarò anch’io! Spero di fare una buona impressione!

Quanto è importante per te che il romanzo abbia successo?
Sicuramente non l’ho scritto per arricchirmi (n.d.a. ride all’idea!). Ma mi preme che arrivi a molti il messaggio del libro. Avrei potuto scrivere che il libro è ambientato a Favolandia risparmiandomi critiche e prese in giro da parte di alcuni alcamesi dalla mentalità ristretta. Ma io voglio che il milanese, il trentino, il veneziano che leggesse il libro capisse che ad Alcamo, oltre alle arancine, ci sono anche belle cose da vedere. E voglio che agli alcamesi arrivi il messaggio che la montagna è un luogo da vivere, non da bruciare.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Intanto sono contento di avere un lavoro sicuro a Treviso, ma mi piacerebbe cominciare a scrivere l’antefatto di questo libro. Sarebbe bello che questo progetto diventasse una trilogia! Sul seguito posso già dire che sarà qualcosa di metafisico, fra il reale e l’immaginifico. Entreranno in gioco nature folcloristiche sia italiane che irlandesi. Riguardo all’antefatto sono orientato verso qualcosa di più reale e storico, vorrei ambientarlo in Sicilia alla corte di Federico. Niente è ancora sicuro, ovviamente.

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