Antonio Fundarò si esprime sugli ultimi avvenimenti legati al PD

ALCAMO. Il consigliere del PD Antonio Fundarò, tramite una lettera inviataci alla nostra Redazione, ha voluto esprimersi sulle ultime vicende avvenute all’interno del suo partito:

“Non è lo sfogo d’un deluso, ne vuole essere l’arringa, non ne ho il ruolo, d’un militante di partito e d’un ammiratore, troppo tempo amico, per essere imparziale lettore d’una realtà ch’hanno voluto, appositamente e clamorosamente, distorcere.

Era da tempo che volevo vergare sulla versione, clamorosamente e volutamente, distorta dello stato, della democrazia di questo nostro sventurato, poco amato, talvolta deriso e criticato, Nostro paese.

Un tema che, a ben vedere, all’indomani d’un inspiegabile attentato alla democrazia compiuta, tentato e meso a segno da un’apposita commissione di garanzia del Partito Democratico, è assolutamente all’interno della Crisi attuale di cui vorremmo e dovremmo essere testimoni ed “analisti”.

Male ho fatto a non farlo prima, prima del clamoroso tonfo della democrazia compiuta, quella delle primarie, talvolta a tutti i costi, feste natalizie comprese, che avevano consegnato, dico avevano (tale non è stato dopo le epurazioni raziali compiute dalla sede romana delPd che perpetuano il moto d’una democrazia affidata a pochi, condizionata da pochi, interpretata da pochissimi, allontanata dai molti, da quel popolo che incredulo assiste, all’ennesima violenza “democratica” alla democrazia calpestata di questo Nostro, una volta amato, Paese) liste popolari, volute dal popolo, scelte e fatte dal popolo, vero giudice e vero garante dei processi democratici del Paese, prima che intervenissero, a modificazione delle stesse, da un lato (questa è l’interpretazione autentica della consumazione democratica della vicenda surreale e, a tratti, irreale) la nuova casta, quella che alcuni analisti hanno, a  buon ragione definito, l’oligarchia incodizionabile ed incontrollata del “dubbio insinuato” o del “fischiare e fare il booh criminale degli assassini senza scrupoli della base della democrazia: il popolo” (quelli che amano, a tutti i costi, calcare la scena anche a sipario chiuso e senza spettatori, colpiti d’una “rinite” allergica senza possibilità di cura alcuna (taluni giornalsiti); e dall’altro lo stesso propugnatore di regole democratiche, non più calate dall’alto, scevre da condizionamenti e da condizionatori: il mio partito democratico ed il mio candidato premiaer, Bersani. Quello che affida agli elettori la scelta del premier, della coalizione, del leader e dei candidati, ma non la possibilità di stilare la lista definitiva dei candidati a rappresentarci al Parlamneto. No, per carità, quella NO. E dopo i candidati calati dall’alto, gli amici ragguardevoli a dover rappresentare i pochi che comandano, quelli ch’hanno in mano le sorti del partito e del Paese, ora anche le liste di proscrizioni, le epurazioni, i forni crematoi, i giudici del partito.

Non i giudici, quelli che rischiano ogni giorno, non quelli a cui va il mio grazie ed il mio apprezzamento per il diuturno impegno e l’ammirevole impegno a tutela della legalità e della sicurezza del Paese.

No. Non loro a stabilire, al termine d’ogni grado di giudizio, innamorati come dovremmo essere, in questo paese democratico, noi che ci spacciamo per democratici e amanti della democrazia, la verità dei fatti.

Non loro, ma una commissione di saggi, di cui nulla sapeva il popolo ignaro che ha pensato di trovarsi, quando è stato chiamato, pagando due euro, a partecipare alle primarie, in un percorso di democrazia compiuta, quando, invece, il puzzo del corporativismo becero, s’insinuava, ancora, lì ove sarebbe dovuta radicarsi la primavera della democrazia perfetta.

E proprio in queste circostanze che ci si rende conto della brutta china ormai presa.

I cittadini che non accettano l’occupazione dello stato e dei partiti da parte di una oligarchia, comunque, autoreferenziale, occupata dei propri affari e delle proprie rogne e, quando va bene, semplicemente incapace di elaborare un qualunque disegno democratico che parta dalla realtà, dalle COSE, dalle persone REALI, dalla reale volontà espressa dal popolo, talvolta, è questo il caso, dai loro stessi violentati ed impauriti elettori; oligarchia aristocratica di benpensanti giustizialisti che non hanno altro spazio ne altro modo di far valere il proprio impegno che quello di castrare la democrazia compiuta, quella delle primarie, con delle inaccettabili epurazioni rese postume alle scelte compiute dal popolo. Inaccettabili perché affidate non al popolo ma ad una casta nella casta (questa è una, se la leggiamo bene, la commisione di garanzia di chi comanda) a cui, talvolta, è dato il compito di “eliminare” personaggi scomodi, non al Paese, non al popolo, ma alla casta stessa.

E’ questo l’equivoco, che dimostra che una “casta” esiste davvero.

Una dannatio personae che, se fosse stata rivolta ad altro personaggio, sarebbe stata, come in passato, fortemente stigmatizzata.

No, per il senatore Antonino Papania, non basta il consenso del popolo, non basta sapere di non trovasi sottoposto ad alcuna indagine e che l’orchestrata “notizia” è solo frutto di carrierismo giornalistico, per non voler pensar male, finalizzata a denigrare storie personali, percorsi umani e percorsi politici, coerenti fino all’inverosimile.

No. Per lui no. Per il senatore Papania non valgono le regole della democrazia compiuta. Non valgono le migliaia di schede imbucate nelle urne e la fiducia che, in lui, han riposto migliaia di elettori, critici più attenti e talvolta giudici più severi di millantatori “scribacchini”, molte delle volte prezzolati, a cui, taluni, affidano la formazione del proprio convincimento politico.

Serve eliminarlo ed eliminare, con lui, percorsi ch’hanno permesso a questa Regione e a questa politica (il Pd compreso) di prospettare un futuro all’altezza e alla stregua d’un popolo che ha voglia e sente il desiderio, fermo, di cambiare orchestra e direttore d’orchestra e, ormai capita sovente, anche spartito.

No, lui si deve eliminare.

Troppo scomodo il cambiamento in una terra che ha difficoltà a cambiare.

Com’è difficile non vedere quanto pesi il clima del sospetto nella nostra democrazia. Non si inventa nulla quando si parla di uno scontro in cui nella cultura della sinistra, o di una sua parte, si brandisce come arma la pretesa di una superiorità etica e con questa pretesa si cerca di pregiudicare un normale corso democratico del Paese.

Tutti capitoli su cui si proietta la lunga ombra di un periodo, durante il quale la fragilità della politica è stata sottolineata proprio dalla difficoltà di chiudere i conti con questa fase del sospetto.

Una fase che ha avuto il suo incipit proprio con la fine, meglio, con i presupposti della fine dela prima repubblica.

Una difficoltà che il tempo non ha attenuato.

La stessa diversità del linguaggio che viene usato (da un lato quello della lobby romana dei partiti, che tutto pensa, tutto vogliono e tutto dispongono, dall’altro quello della gente comune, felice di trovar qualcuno, come il senatore Papania, attento e paziente ascoltatore dei propri dubbi, delle propri vicissitudini, delle proprie richieste) sta a indicare che su questo argomento esistono solo visioni unilaterali e spesso, profasis ed aithia, come è accaduto nel passato e nella nostra storia millenaria, non hanno mai coinciso.

Come non hanno coinciso nella fase che ha portato il segretario nazionale, non il popolo, non le primarie, a stilare le due liste, quella dei candidati (taluni molto vicini a lui e non passati dalla forca del voto delle primarie da lui stesso richieste) e quella dei proscritti.

Come esordio di democrazia, lascia molto a ridire.

Come deprecabile è, anche, il brutto sentimento di cui è intriso il giustizialismo politico, quando ci si rende responsabili di scelte illiberali ed antidemocratiche (come quelle dell’esclusione del senatore Papania): l’ipocrisia.

Le campagne giustizialiste contro questo o quel personaggio di turno sono autentiche orge di ipocrisia.

E quella dell’esclusione del senatore Papania ne ha davvero tutte le caratteristiche.

E gli ipocriti amici, quelli c’hanno vissuto e si sono pasciuti in questo territorio d’un consenso davvero senza previsione per loro, oggi, si indignano di cose inesistenti, mortificando uomini e storie a cui dovrebbe semplicemente dire grazie (perché, talvolta, gli ha permesso di essere ciò che sono).

Questa non è la democrazia che immaginavo, questa non è la democrazia che cerco, questa non è la democrazia che pensavo per i miei nipoti”.

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