“Stabat Rosa”- Giacomo Bonagiuso

Sembra che le rose fossero i fiori preferiti di Rita, “la santa degli impossibili” chiamata così dai suoi devoti, che tra gli eventi miracolosi della sua vita ricordano in particolar modo il miracolo delle rose sbocciate in pieno inverno. Le rose sono dunque diventate parte integrante del culto ritiano e lo spettacolo andato in scena sabato e domenica a Castelvetrano, in occasione del decimo corteo storico di Santa Rita, non poteva non  partire proprio da questo simbolo caro alla tradizione popolare. L’evento ha visto in scena, tra adulti e bambini, 50 studenti dell’Akkademia teatrale F. Centonze di Castelvetrano, impegnati in uno spettacolo teatrale in cui corpo, voci musica e luci hanno creato un’atmosfera carica di emozioni. In scena la vita di una donna,una moglie, una madre che solo il tempo consegnerà agli onori dei santi, che sono prima d’ogni cosa esempi di vita e di fede. Dall’immagine di Rita, appoggiata alle gambe del suo Signore, sulla scena una piccola donna vestita di un bianco candido, viene fuori la profondità della fede e l’essenza di essa che si ritrova nella semplicità del quotidiano.

“la creatura guarda il portone, guarda tra i cardini che lo tengono ben fisso al muro, lì c’è uno spazio, una ferita…ci passa un foglio di vangelo, un sussurro appena….ma quando il sole si mette di traverso sotto la torre e sembra che caschi nella campagna per bruciarla tutta, al vespro, un taglio di luce passa tra il muro e i cardini…e la polvere danza e c’è tutto il mondo Signore, ad ascoltare…è lì che il sento la vostra vose, la tua voce…”

Con queste parole Rita descrive la visione del divino nel mondo. La natura ne è testimonianza, e lei, dotata di una grande sensibilità, ne percepisce l’essenza e la presenza. E’ la Rita  dilaniata tra due vite, l’una di vocazione, l’altra di costrizione, rappresentata sulla scena di “Stabat Rosa”, di Giacomo Bonagiuso.  La danza cosmica che muove le cose e agita la polvere è l’esatta rappresentazione di Cristo nel mondo e dello stretto legame invisibile tra Dio e la sua creatura. Una donna costretta alla vita matrimoniale e alle leggi del suo tempo, ma intimamente legata a Dio. Struggente il suo monologo di disperazione, di fronte alla morte dei suoi figli, che la priva della sua stessa carne, ma che al contempo libera il suo spirito dalla condanna ad una vita fatta di faide, vendette e sangue, avvicinandola a colui che tutto può. La vita di Rita scorre sul palcoscenico accompagnato dallo sguardo di una suora, nella tradizione popolare la suora che per tre volte rifiutò di accettarla in convento, e che nella rappresentazione scenica diventa, probabilmente, lo sguardo stanco e materno di Rita stessa che, nei ricordi, vorrebbe forse evitare a quella giovane donna i dolori che da lì in poi l’accompagneranno. La rosa e le sue spine, la rosa che rinasce in inverno, tra le tante intemperie e avversità che l’hanno resa forte:

“Le rose sembrano seccare d’inverno…sembrano…sbocciano di nuovo, in  primavera, le rose forti…”

Così chiude Rita il suo monologo, mentre tra le braccie stringe i corpi senza vita dei suoi figli che preferisce donare alla morte piuttosto che ad una vita infame. Rita vive nella fede, vive e resiste al mondo delle umane cose, resiste, per godere appieno, infine, delll’amore divino.

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