Nemo propheta in patria 1

Sono appena stato avvisato con una laconica telefonata da mia moglie che aspettiamo mio figlio Dario per cena che pare “si fermerà da noi qualche giorno”. Ne sono contento, non vedo di frequente Dario che pare essere sempre troppo impegnato nelle sue attività con l’università di Palermo, ma che probabilmente non rientra troppo volentieri ad Alcamo per non sentirsi o metterci in imbarazzo data la sua ormai nota omosessualità. Così quando sentiamo il bisogno di vederlo ci muoviamo noi, lo andiamo a trovare nel suo appartamento un po’ bohemien all’ultimo piano mansardato di una palazzina in viale Crocerossa, avvertendo sempre prima, per delicatezza e perché non è facile trovarlo in casa. Passa la gran parte delle giornate in università dove sta completando la sua importante tesi sperimentale che gli consentirà, almeno a sentire Marilena, di lavorare anche dopo la laurea con lo staff del professor Sperlinga con il dottorato di ricerca. Il primo passo verso una futura brillante, si spera, carriera universitaria. Mia moglie, di solito più prudente di me, è al settimo cielo per i successi ottenuti dal figlio e in genere tende ad esaltare anche quelli che, ne è certa, mieterà anche nei prossimi anni. Le volte che mi azzardo a ridimensionare i suoi slanci, lei, usualmente così razionale, blocca ogni mio commento dubitativo. Per suo figlio, questo figlio che ritiene di dover maggiormente proteggere dal malanimo della gente, abbandona ogni prudenza e si lascia andare ad un entusiasmo privo d’incertezze. Ma va bene così. Dario arriva prima di cena, prorompe in una serie di saluti, complimenti, abbracci saltellanti con la madre e la sorella. Anche a me dirige per un attimo uno di quei suoi sorrisi con gli occhi che me lo fanno ritrovare complice come se avesse ancora 10 anni (e io poco più di 35) e ne avessimo combinata una “da non raccontare alla mamma”. Poi bacia e abbraccia pure me, si inoltra per la casa come per controllare che tutte le cose si trovino al loro posto, nello stesso ordine in cui le ha lasciate l’ultima volta e nel quale le colloca mentalmente quando è lontano. C’è un tappeto in più, questo non può sfuggirgli e si ferma a commentare e a fare apprezzamenti sul buon gusto della madre. Poi sparisce nella stanza della sorella a chiacchierare, mentre io mi offro di aiutare Marilena con la cena. In realtà è tutto pronto, gli scampi con verdure cotti al vapore che gli piacciono tanto sono da mettere assieme in una coreografia colorata: per primo ci va il letto di zucchine alla julienne da stendere nel piatto di portata, poi gli scampi con la coda ripulita dal carapace adagiati sopra, infine mi preparo a disporre giudiziosamente sui bordi, alternandole, carote e patate dai contorni seghettati (grazie ad un improbabile arnese da cucina tedesco trovato da mia moglie in un discount). La salsa a base di maionese (ricetta segreta di Marilena), presentata a parte in un paio di ciotoline, servirà da condimento. Mentre lei comincia a liberare dalla crosta di sale il piccolo dentice cucinato al forno, la seconda portata, mi chiede: “Come lo hai trovato?”, riferendosi naturalmente a nostro figlio. Io, preso anche dall’alternanza patata-carota, patata-carota, rispondo un disinvolto: “Bene, di buonumore”. Pessima mossa. Sento uno strano silenzio premonitore, come di qualcuno che abbia smesso di fare ciò che stava facendo e che ora mi stia guardando con aria fortemente contrariata. Alzo gli occhi dalla fetta seghettata di carota che sto cercando di far combaciare con quella, più spessa e più larga, della patata a fianco e mi accorgo che la mia sensazione è straordinariamente corrispondente alla realtà. Marilena, infatti, ha effettivamente smesso di fare ciò che stava facendo (lo ricordo per i meno attenti: staccava la crosta di sale dal dentice) e ora mi guarda con aria che dalla contrazione del viso non esiterei a definire disgustata. “Ma possibile che non ti accorgi di niente?”, mi assale, “non vedi com’è teso? Tu vivrai tranquillo fino a 140 anni, nulla ti turba, nulla ti disturba!”. “In effetti l’ho visto un po’ tirato”, cerco di recuperare, “però lui è sempre così su di giri, che mi è parso normale; per i suoi standard, voglio dire”. “Non stai abbastanza attento. E non ti stupisce che stia qui per qualche giorno? Per te è tutto normale!”. Cerco di calmare le acque e manifesto con tono sommesso interesse su quanto agita madre e figlio. I ragguagli disegnano una circostanza singolare e incresciosa per Dario, della quale mia moglie mi riferisce a mezzo tono, per non farsi sentire dai ragazzi. Il quadro della situazione è questo: Dario a Palermo ha un bel gruppo di amici con cui condivide interessi, affinità e battaglie civili, anche quelle per i diritti dei gay, pur non facendo ufficialmente parte dell’arcigay. Alle elezioni universitarie che si terranno fra tre settimane, l’arcigay ha deciso di presentare una propria lista per far valere le proprie istanze anche all’interno dell’università. Il gruppo dei giovani amici di Dario ha cominciato una discussione sull’opportunità che ci sia tale lista indipendente che finisce per danneggiare quella della sinistra che storicamente è stata vicina alle istanze dei gay come di altri gruppi considerati in qualche modo “minoranze” (una idea diffusa ma assolutamente inspiegabile quella di inquadrare chi ha interesse sessuale verso persone dello stesso sesso nella categoria “minoranza”). Alcuni amici hanno infine deciso di aiutare attivamente l’arcigay nella preparazione della nuova lista in vista della campagna elettorale, anche in considerazione del fatto che nel gruppo dei ragazzi della sinistra universitaria ce n’è qualcuno che proprio non è di loro gradimento. Dario rimane ai margini della scelta e in posizione critica proprio perché in qualche modo così si finisce per spezzare il fronte e si rischia di far vincere le liste di destra. Infatti, arcigay e sinistra litigano furiosamente, anche perché si rivolgono allo stesso elettorato. Poi, il giorno prima che si chiudano le candidature, gli viene proposto il ruolo di candidato per la lista di sinistra come rappresentante degli studenti al Senato accademico, il maggiore organo di governo dell’intera università. Un ruolo molto importante che va ben al di là delle possibilità della lista dell’arcigay. Dario decide di accettare, lo annuncia agli amici che ci rimangono di sale. Arrivano i ragazzi in cucina e siamo costretti a sospendere il racconto, Marilena non vuole che ne parliamo per non far soffrire Dario, che si trova qui da noi proprio per prendersi un paio di giorni senza pressioni. Si va tutti a tavola.

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