La Sicilia mette le quattro frecce.

Il Rigor Montis ci ha abituati, in breve tempo, ad un clima di necessaria austerità.  Le stiamo provando davvero tutte per evitare che quegli splendidi fogliettini colorati, capaci di esaudire ogni nostro desiderio, possano permanere il più a lungo possibile (e si spera in compagnia di loro simili) in morbidi portafoglio, in confortevoli tasche o in sicure banche. C’è chi fa avanti e indietro dal bar, senza mai entrarvi, combattuto se sia il caso di spendere o meno quei soldi per un caffè; chi si dedica alla nuova tendenza dello Shopping-Visivo (meglio nota ai più come “guardare e non comprare”) o chi, addirittura, si costringe a dimenticare  il codice della propria carta di credito, così da spegnere sul nascere, qualsiasi voglia di acquisto.

Diciamoci la verità: non ci eravamo più abituati.

Gli economisti hanno osservato tutto  questo e dalle loro attente analisi è emerso che il Mezzogiorno va peggio che il resto del paese, anzi: se ne allontana di più, altro che equità. Negli ultimi due mesi c’è stato un crollo dei consumi alimentari dal Lazio in giù, un dato allarmante perché si ritiene che sia il settore in cui finché è possibile non si stringe la cinghia. C’è, tuttavia, chi crede che i meridionali facciano di necessità virtù e siano diventati più attenti. Ma questa è, più che altro, una visione ottimistica. In cinque anni il Sud ha perso l’8 per cento del prodotto interno lordo, mentre il Nord ha perso solo la metà, il quattro per cento. Il Pil siciliano è sceso del 2,2 per cento nel 2011 e continuerà a scendere nell’anno successivo, arrivando al 2,7 per cento, secondo le previsioni. Diminuisce la produzione, ma aumentano i prezzi (l’inflazione galoppa al 3,3 per cento): una forbice che rischia di stritolare l’economia siciliana, che però manifesta comportamenti “virtuosi” nell’area orientale rispetto al resto dell’Isola. L’unico dato positivo viene dalla presenza di turisti nell’Isola, che registra un incremento del 13,9 per cento lo scorso anno.

Altro dato negativo: la perdita di imprese e l’aumento delle ore di cassa integrazione, mentre l’occupazione fra il mese di luglio e il mese di settembre dello scorso anno ha fatto registrare un incremento di coloro che rinunciano a cercare lavoro (undicimila unità).

Secondo la Svimez, infine, ci sarebbe un legame inequivocabile fra costo del lavoro, tassi d’interesse bancario, contratti atipici, irregolarità nei rapporti di lavoro e modesta spesa nella ricerca e investimenti per lo sviluppo. La Regione siciliana ha messo nero su bianco appena due mesi fa in occasione di incontri tra rappresentanti del governo regionale (il governatore Lombardo e l’assessore all’economia, Arma), disegnando un quadro di riferimento sufficientemente rappresentativo dei rapporto Stato-regione. In cima all’agenda l’attuazione degli art.36 e 37 dello Statu speciale, che attribuiscono alla Regione siciliana le entrate fiscali che vengono prodotte nel territorio.Secondo una stima della Regione, la Sicilia vanterebbe un credito di circa sette miliardi e mezzo di euro, frutto della produzione nel territorio siciliano. A questa cifra dovrebbe aggiungersi il gettito derivante dall’Iva all’importazione riscossa sulle merci provenienti da Paesi extracomunitari, pari a un miliardo e mezzo di euro circa.

Riusciremo a togliere le quattro frecce e a ripartire? Probabilmente no, perché la crisi ha carattere nazionale e globale, ma potrebbe rallentare l’emorragia.

CONDIVIDI
Commenti Facebook
Articolo precedenteIl Pdl riunito per Lauria: sabato la ri-ufficializzazione
Articolo successivoAvviso per interpretariato a titolo gratuito