IL GIOCO DELLA POLITICA

Si presenta al mattino in ufficio un Tal de Tali in giacca blu e cravatta rosa e afferma con fare insolente che viene in ufficio a nome del Senatore. Io faccio lo gnorri e chiedo di che senatore si tratti. Lui fa un gesto con alzata di sopracciglia e un contemporaneo cenno del capo, probabilmente secondo lui verso una qualche zona della città che mi dovrebbe permettere di intuire a chi si riferisca, forse perché quel tale senatore vi abiterebbe, forse invece perché proprio in quella zona avrebbe luoghi di incontro con i suoi compagni o circoli di partito, o forse presunti centri di potere. L’eloquenza del sopracciglio però per me non è abbastanza, non do per inteso nulla, solo chiedo cortesemente di cosa ha bisogno, se è venuto in un ufficio ci sarà un motivo. Quello spiega che si tratta di cosa riservata che riguarda un edificio di sua proprietà, un favore che il Senatore gli ha garantito, che nel mio ufficio gli avrebbero potuto fare. Sul favore non mi risulta che l’Ufficio accetti segnalazioni, rispondo un po’ piccato, se vuole le do un modulo sul quale può formulare la sua domanda. Cravatta rosa mi guarda interdetto, poi con una faccia scura si gira su se stesso e se ne va senza dire una parola. Mi vado a prendere un bicchiere d’acqua e mi siedo dietro la mia scrivania ancora innervosito dalle pretese e dai modi arroganti del tipo. Penso che forse si aspettava di parlare con qualcun altro dell’ufficio, uno dei miei colleghi, in un altro articolo identificati come Alfa e Omega. Chissà… meglio lasciar perdere. Mentre esamino la prima pratica della mattina, mi rendo conto che Cravatta rosa non ha in effetti esplicitato la sua richiesta. Più ci penso e più non mi spiego perché non mi abbia detto quale fosse il motivo che lo abbia spinto fino qui: ha preferito andarsene rapidamente dato che io non ho accettato di favorirlo (non si capisce poi in che modo avrei dovuto o potuto farlo). L’unica conclusione praticabile è che ci fosse sotto qualcosa di losco, se no avrebbe comunque avanzato la propria istanza. Potrei chiedere a uno dei miei collaboratori, d’altra parte non è bello fare supposizioni così fastidiose su gente che non si conosce e sul simpatico senatore. Meglio sorvolare, magari stando con gli occhi aperti.

Più tardi rivedo l’uomo in giacca blu e cravatta rosa, tutto sudato, sulle scale, mentre chiacchiera con il mio collega Alfa, in una posizione che sembra deferente rispetto al collega, o forse è un’impressione dovuta al fatto che Cravatta rosa si trova un paio di gradini più in basso di Alfa. Fatto sta che dialogano fitti e che, mi pare, al mio arrivo si rialzino all’improvviso dalle carte che tengono in mano per salutarmi. Chiedo se accettano un caffè al bar, la risposta è che vi si stavano testé recando. Ci accompagniamo quindi verso il bar, mentre mi viene presentato Cravatta rosa, un parente di un amico o un amico di un parente, insomma un grado di conoscenza che non si può definire particolarmente stretto con Alfa, il mio collaboratore. Mi spiace, dico, se le sono sembrato scortese, sono a disposizione per qualsiasi chiarimento in merito alla sua richiesta, o per l’opportuna compilazione del modulo adatto. Non si preoccupi, mi risponde tranquillizzato, era una sciocchezza che il signor Alfa ha già sistemato. Ci scambiamo qualche altro convenevole, prima che io li lasci al loro colloquio e me ne torni in ufficio. E mentre sto lì rimugino sulle parole equivoche del Cravatta rosa. “Una sciocchezza” dice, “il signor Alfa l’ha sistemata” dice, “una cosa riservata” dice, “il senatore gli ha garantito” dice. Rimugino mentre Alfa non arriva e io non riesco a lavorare, mi sento come una pentola a pressione in piena ebollizione trattenuta, mi manca solo che mi esca il fumo dalle orecchie, perché un mezzo fischio, un incrocio con un muggito, già mi sfugge dalla bocca.

Quando dopo una buona mezz’ora arriva Alfa, il livello della pressione è tale che lo investo con un discorso mezzo sconclusionato, che in buona sostanza riassumerei così: come cavolo è che ti presti sottobanco (nel mio ufficio!) a distribuire favori a questo o (chissà) a quel politicante? Dato che si sa che con me non c’è niente da fare, con raccomandazioni e corsie preferenziali, questi rubagalline adesso si rivolgono a te per ottenere ciò che vogliono? E qual è il tuo tornaconto? Solo che nel mio discorso c’erano molte più parolacce.

Alfa ne rimane scosso e sta zitto; Omega fino ad ora indeciso se sonnecchiare sulla sua scrivania o mettersi a mangiare lo spuntino di metà mattina, si desta di colpo e cerca di calmarmi. Raramente mi ha visto perdere le staffe in tal modo. Consegnami quelle carte, intimo ad Alfa. Si avvicina, mogio, mi lascia il fascicolo sulla scrivania e si mette a sedere alla sua postazione fingendo di controllare qualcosa al computer. Esamino per bene tutto il fascicolo lasciato da Cravatta rosa, non mi convince, lo analizzo foglio per foglio, fotocopia per fotocopia, atti e testamenti. Tutto in regola. Silenzio. Poi sbotto: E c’era bisogno che questo cretino venisse qui a chiedere favori a nome del senatore?!!!?

Alfa mi risponde calmo: purtroppo sarà sempre così fin quando la gente non si convincerà che un ufficio pubblico è al loro servizio. Per fargli depositare le carte gli ho fatto credere che ero parlato dal senatore, se no non le avrebbe lasciate. Una mentalità tipica nelle nostre zone.

Io ancora innervosito: ma così i politici ne approfittano facendo finta di fare favori alle nostre spalle, favori che quelli renderanno per le elezioni.

Alfa conciliante: è il gioco della politica.

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